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Istituto di Formazione in pedagogia clinica riconosciuto UNIPED (Unione Italiana Pedagogisti). Censita CNEL. Aderente CoLAP

Un ambiente per la scrittura

Scuola e famiglia: un progetto educativo ecologico per prevenire le difficoltà di scrittura

Di Simona Cupaiolo – Pedagogista Clinico e Rieducatrice del gesto grafico - Milano


“Esiste una forte persistenza di tratti infantili e di difficoltà grafo-motorie in molti ragazzi italiani,soprattutto di sesso maschile, di 18/19 anni. L’11% di loro presenta uno sviluppo della motricità inadeguato (percentuale quasi identica a quella rilevata a 6 anni)”. (S. Lena, 1999).
Questo dato non ha un valore esclusivamente statistico ma ci dice che le difficoltà di scrittura non si risolvono spontaneamente. Il bambino crescendo e andando verso l’età adulta non risolve le proprie difficoltà.
1. Un processo cognitivo complesso
Scrivere, infatti, non significa soltanto mettere in atto semplici movimenti con la mano ma elaborare e pianificare un programma cognitivo e motorio quindi, lungi dall’essere un semplice atto spontaneo “ è un processo cognitivo specifico di estrema complessità neurologica che coinvolge innumerevoli meccanismi cerebrali”: è il risultato dell’integrazione sequenziale di abilità motorie, linguistiche, visuopercettive, attentive ed emotive. E il prodotto della mano non è che “l’ultimo anello di una complessa catena di eventi che parte dal cervello” (Rita Pellegrini e Lucia Dongilli). Ne consegue che la mancata presenza di queste abilità e, soprattutto, la mancata integrazione fra esse non consentirà un’elaborazione immediata e contemporanea delle informazioni che dovrebbero dare vita al programma motorio.
E queste abilità, che definiamo come abilità di base, saranno il “frutto dell’integrazione tra i processi biologici e le stimolazioni ambientali a cui il soggetto viene sottoposto”.
Ed è proprio partendo dalla educabilità delle abilità di base che si può definire il ruolo della Pedagogia clinica che fa dell’empiricità, dell’individualità e dell’ecologia i suoi paradigmi fondamentali (Crispiani , Pedagogia clinica)
Se il pedagogista clinico non può intervenire sulle doti innate dell’individuo può tuttavia analizzare , valutare, progettare e intervenire sull’ambiente: può strutturare o aiutare a strutturare ambienti favorevoli al potenziamento di capacità percettive, motorie, linguistiche, attentive e mnemoniche essenziali al gesto grafico.
2. Perché educare alla scrittura
Alcuni orientamenti nell’ambito della neuropsichiatria infantile vedono la scrittura solo come mezzo di comunicazione e non come espressione di sé né tantomeno come espressione di abilità complesse e, di conseguenza, ritengono superfluo prevenire o educare qualora emergano difficoltà in quanto inutile dispendio di energie nell’era dell’information technology che fa del computer il suo strumento principe.
Ma se consideriamo che a scuola il computer non viene usato sistematicamente da tutti, la prima cosa che salta all’occhio naturalmente è il fatto che questi orientamenti trascurano l’inevitabile impatto sull’autostima dell’individuo che vive un senso di inadeguatezza rispetto al gruppo classe.
Non solo. Se ci volessimo soffermare sul solo piano didattico, dovremmo notare come la mancata integrazione delle abilità di base, lungi dal limitarsi a manifestarsi come esclusiva difficoltà grafica, ricadrebbe anche su altri apprendimenti (sequenzialità, problem solving, incolonnamento, geometria, musica e così via).
Ma quello che più ci preme sottolineare è che la mancata integrazione delle abilità di base avrebbe un impatto importante anche nella vita quotidiana: difficoltà ad orientarsi nello spazio gioco all’aperto, difficoltà nelle autonomie quotidiane, difficoltà nella prontezza esecutiva nei giochi da tavolo e così via.
Difficoltà che faranno da cassa di risonanza ad un senso di inadeguatezza e ad una bassa autostima che, in altri termini, significa una bassa qualità della vita psichica ed emotiva.
Si capisce allora perché non solo si può ma si deve intervenire.
Si può in quanto le abilità di base sono “educabili” e si deve in quanto ogni individuo ha il diritto di trovare un ambiente favorevole allo sviluppo delle proprie potenzialità soprattutto se questo vuol dire prevenire disagi di ordine emotivo di più vasta portata.
3. Un ambiente per la scrittura
L’obiettivo del pedagogista clinico sarà pertanto quello di formulare un Progetto Educativo che si ponga come “aiuto allo sviluppo delle competenze e dei potenziali di ciascun individuo, con elevata attenzione alla singolarità di ciascun caso” (Crispiani , “Il metodo Crispiani”) .
La prospettiva è senza dubbio ecologica e sistemico-relazionale in quanto l’individuo è visto come un sistema aperto e quindi inserito in un contesto da cui può essere influenzato.
In quest’ottica, il progetto educativo si verrà a delineare quindi, anche nell’ambito della scrittura, come aiuto allo sviluppo attraverso una relazione di aiuto con un individuo unico e irripetibile che, proprio in quanto tale, reagisce in maniera singolare all’ambiente, modificandosi con esso pur tendendo a mantenere uno stato di equilibrio.
In sintesi potremmo dire che il pedagogista clinico offrirà ai gruppi un ambiente che favorisca l’integrazione di tutte quelle abilità di base indispensabili ai fini del processo di acquisizione della scrittura, favorendo quindi un adeguato sviluppo in tutte le aree funzionali e un giusto equilibrio emotivo.
E, in un certo senso, sia l’azione preventiva che l’intervento mirato e clinico, verranno messi in atto dal pedagogista per ovviare ad eventuali carenze che gli apprendimenti spontanei , sia a causa di “ambienti poveri” che a causa di “risposte individuali non funzionali” , potrebbero comportare.
Dicevamo quindi, un individuo unico e irripetibile inserito in un ambiente.
Ed è chiaro che, nel caso dell’infanzia, gli ambienti formativi per eccellenza non possono che essere individuati nella scuola e nella famiglia.

4. Clinica della scrittura nella scuola

La scuola rappresenta, per tradizione e per facilità di intervento, il luogo principe della formazione diretta e intenzionale ( attraverso gli interventi educativi portati dagli insegnanti) ma anche indiretta attraverso interventi di aiuto sull’ambiente fisico e relazionale che vengono messi a disposizione dell’individuo.
Di conseguenza la scuola di infanzia e i primi anni della primaria, saranno l’ambiente per eccellenza in cui questo lavoro potrà essere fatto in maniera sistematica proponendo una serie di esperienze che possano favorire queste acquisizioni.
Si tratterà di formare le insegnanti ad una pedagogia della scrittura che parta dal potenziamento delle abilità di base e di formarle nel contempo ad un’attività di monitoraggio che comprenderà sia momenti di valutazione (screening) testistica che momenti di osservazioni diretta nelle attività di gioco dei singoli bambini (valutazione e monitoraggio delle abilità di base della scrittura).
Già la Montessori aveva messo l’accento sulla componente motoria dell’apprendimento della scrittura manuale, in contrasto sia con il metodo sintetico che con quello globale, spostando l’attenzione dall’oggetto (lettera o parola) al movimento che deve eseguire la mano, introducendo quindi un metodo che possiamo definire gestuale.
Si tratta di un metodo che conduce alla scrittura per via indiretta in quanto consiste nel fare svolgere esercizi interessanti e piacevoli non necessariamente di scrittura ma che portano ad assimilare quei movimenti che sono necessari per l’apprendimento della scrittura stessa.
In primis va osservato che il metodo gestuale di montessoriana memoria che pone attenzione all’apprendimento del gesto vero e proprio, un metodo che pone attenzione alla corretta direzionalità di ogni singolo grafema (dall’alto al basso, da sinistra a destra e in senso antiorario per i segni circolari), un metodo che pone attenzione alla postura (si scrive con tutto il corpo) e alla prensione dello strumento grafico ma, soprattutto, un metodo che sia in grado di incontrare ogni tipo di intelligenza, da quella prettamente cinestesica a quella uditiva e visiva trasmettendo la direzionalità del segno contemporaneamente agendolo, mostrandolo e verbalizzandolo, si pone esattamente in linea con quanto recita la Legge 170 ovvero che “le metodologie didattiche valide per bambini con DSA sono valide per tutti”.
Purtroppo, per mancanza di indicazioni, spesso questo prezioso suggerimento rimane lettera morta e, allora, compito del pedagogista clinico sarà quello altresì di formare le insegnanti ad un metodo che qui definiamo gestuale e olistico.
Gestuale per l’importanza data alla componente motoria gestuale e olistico in quanto pone al centro del suo campo di intervento l’integrazione delle abilità di base e, non di meno, il rispetto e la comprensione delle diverse modalità di apprendimento.
5. Un ponte: la famiglia

Seppure da un punto di vista di interventi diretti, la famiglia sia di più difficile raggiungimento, se non quando vi sia una richiesta esplicita di aiuto, il pedagogista clinico che adotti una prospettiva realmente ecologica non può non considerare le influenze che il contesto famigliare, in qualità di micro ambiente, esercita sul bambino che in questo contesto nasce e vive le sue prime esperienze formative.
Se partiamo poi dalla considerazione che la maturità affettiva, intesa come capacità di predisporsi in maniera positiva verso l’apprendimento, è uno dei prerequisiti base per l’apprendimento della scrittura stessa non possiamo non attribuire alla famiglia un ruolo di primaria importanza nel raggiungimento di quella capacità di autonomia e rispetto dell’altro che porta il bambino a collaborare per il raggiungimento di un obiettivo.
Va aggiunto che ambienti poveri di stimoli, potranno determinare la comparsa di disfunzioni predisponendo il soggetto a sviluppare più facilmente problematiche di vario genere (dalla mancata integrazione spazio temporale al mancato sviluppo della motricità fine e grosso motoria e così via).
Per questo motivo, uno dei campi di azione del pedagogista clinico potrebbe essere quello di promuovere la diffusione di una cultura della prevenzione attraverso percorsi di informazione volti a sensibilizzare le famiglie sull’importanza di alcune esperienze formative e tutto ciò usando come tramite la scuola che diventerebbe luogo di incontri istituiti ad hoc con le famiglie.
I due sistemi, scuola e famiglia, Infatti, sono entrambi influenti nella crescita del bambino e molto spesso, promuovere l’interazione tra essi comporta delle difficoltà dovute ad inevitabili aspettative della famiglia nei confronti della scuola e, viceversa, degli insegnanti nei confronti di alunni e famiglie.
Gli alunni però non possono essere educati a settori ma devono essere educati in modo globale. Scopo primario del pedagogista clinico sarà allora quello di favorire l’incontro scuola-famiglia in uno spazio virtualmente neutro per la condivisione di un progetto al fine di favorire auspicabili forme di “alleanza educativa” tra insegnanti e genitori.
Uno straordinario strumento formativo nelle mani della famiglia è poi il gioco, che è stato per le vecchie generazioni, una vera e propria scuola di apprendimenti .
Un esempio per tutti. Un gioco con la palla accompagnato dalla filastrocca “muoversi senza muoversi” che qui vale la pena ricordare:
Il gioco si esegue una prima volta, poi, se si arriva alla fine senza sbagliare, si ricomincia ripetendo tutto il giro di volta in volta mantenendo fissa la prima azione poi la seconda e così via e nel contempo eseguendo tutti i comandi in ordine (quindi prima tutti i comandi muovendosi, poi tutti i comandi senza muoversi, poi tutti senza ridere, tutti con un piede) e questo gioco rappresenta una vera e propria integrazione di funzioni complesse: verbale e motoria (canto la filastrocca mentre tiro la palla), ad ogni step integro un movimento complesso crociato (batti batti, zigo zago), rotatorio ( violino), mentre faccio tutto ciò devo mantenere un equilibrio statico che si complica nella funzione “con un piede”. Ricordare la filastrocca implica funzioni mnestiche e linguistiche, riuscire a prendere la palla di ritorno implica la capacità di sapere imprimere la giusta forza nel tiro in andata ed eseguire i “movimenti comando” richiede una velocità utile alla ripresa della palla (velocità esecutiva). così via.
Insomma è straordinario come con un “semplice” gioco viene messa in atto quella Strategia triadica ( sequenze, sinestesie e automatismi) che sta alla base del Training per il recupero della disprassia di cui tanto parla Crispiani nel suo metodo.
Nel gioco appena descritto vengono poi messe in gioco molte delle funzionalità base dell’ activity gym del metodo Crispiani : motricità, percezione, memoria, linguaggio.
Inoltre, come l’activity gym, questo gioco favorisce la contemporaneità di esecuzione di funzione motorie complesse: elemento cruciale per favorire la rapidità dell’incipit, la fluidità d’azione, il potenziamento degli schemi crociati, laterali e rotatori.
Ecco allora che il pedagogista clinico offrirà alla famiglia degli spazi per riflettere sull’importanza di dare il giusto peso e il giusto spazio a quelli che potremmo definire i “giochi dimenticati” , ovvero quei giochi che oggi risultano sostituiti in toto o in gran parte dai tanto discussi videogames.
6. Una tecnologia al servizio del passato

Non possiamo tuttavia decontestualizzare i nostri piccoli uomini che stanno crescendo nel mondo nuovo dell’Information Technology.
Oggi “siamo investiti da un ambiente di informazione elettronica che è quasi impercettibile come lo è l'acqua per un pesce" ( Counterblast 1969 McLuhan) .
Il meso, l’eso e il macro sistema non solo influenzano i bambini (e anche gli adulti) attirandoli con le nuove tecnologie, ma richiedono loro un adeguamento pena l’espulsione dal sistema stesso.
I media quindi, lungi da essere solo strumenti, rappresentano dei veri e propri ambienti e, in quanto tali, il pedagogista clinico che come sappiamo adotta sempre una prospettiva ecologica, non può prescindere nemmeno da essi.
La scienza stessa, come già aveva teorizzato Piaget, ci dice che il cervello umano si adatta facilmente all’ambiente ( e quindi ne è influenzato e modificato). L’adattamento avviene a un livello biologico profondo in quanto modifica il modo di connettersi dei nostri neuroni e le tecnologie che usiamo, compresi i mezzi per raccogliere, archiviare e condividere le informazioni.
Ma quello che ci preme sottolineare è però ricordare che anche la capacità di leggere e scrivere ha cambiato il modo in cui elaboriamo le informazioni.
La scrittura, infatti, “ha trasformato la mente umana più di qualsiasi altra invenzione"(Ong).
Basti pensare che, ad esempio, grazie alla carta e alla penna ora siamo “più bravi” in aritmetica perché possiamo annotarci i passaggi e sempre grazie alla scrittura siamo in grado di creare, pensare e strutturare le informazioni in elenchi e schemi inimmaginabili nell’era della cultura orale.
Allo stesso modo oggi non cerchiamo più di ricordare certe informazioni, perché ci aiuta a farlo internet e perché abbiamo modo di archiviare le informazioni in maniera semplice e veloce (I nostri ricordi sono archiviati in cartelle e sottocartelle, facilmente accessibili e rintracciabili). La nostra mente non è in grado solo di schematizzare ma anche di pensare per“finestre” che si sovrappongono, che si alzano e che si abbassano, è in grado di rielaborare una vasta quantità di informazioni tagliando, copiando e incollando.
In conclusione, per il pedagogista clinico è importante studiare i media non tanto in base ai contenuti che veicolano, ma in base ai criteri strutturali con cui organizzano la comunicazione in quanto, come la scrittura è un codice artificiale che si avvale del canale visivo per superare i limiti propri della comunicazione orale (naturale) ed esprimere il pensiero attraverso messaggi visivi apportando mutamenti ai nostri processi cognitivi, così i caratteri strutturali della comunicazione mediatica producono effetti pervasivi sull'immaginario collettivo e sulle strutture cognitive indipendentemente dai contenuti dell'informazione di volta in volta veicolata, rendendo pertanto complesso l'ambiente sociale ("il medium è il messaggio", McLhuan)
Se non ci si adegua alla tecnologia non ci si può inserire nel sistema, nella complessità di questo nuovo ambiente sociale: si rimane ai margini, ed è, in questo senso, che Ong, a fronte delle critiche poste da alcuni orientamenti di pensiero nei confronti delle nuove tecnologie, aveva parlato del pericolo che si sviluppassero dei veri e propri nuovi analfabetismi che qui definiano analfabetismi tecnologici. D’altra parte, la scrittura stessa, come anche la stampa e il computer sono tutti mezzi per tecnologizzare la parola: la scrittura quindi è anch’essa una tecnologia, anche se oggi noi pensiamo solo al computer come tecnologia perchè la scrittura l'abbiamo talmente interiorizzata che non riusciamo a pensarla come tale.
E, anche la scrittura, in quanto tecnologia, aveva creato intorno a sé forti critiche: veniva definita disumana perchè ricreava al di fuori della mente quello che invece poteva esistere solo al suo interno, era accusata di distruggere la memoria perchè chi la usava avrebbe smesso di ricordare, avendo sempre bisogno di risorse esterne per farlo, ed infine la scrittura sarebbe stata inerte perché, se interrogato , un testo non può rispondere, mentre una persona, all'interno di un discorso, è in grado di spiegare le sue affermazioni.
Ma questo, dice giustamente Ong, non ci deve bloccare nell'accogliere il progresso, perchè "la tecnologia non degrada la vita [...] ma al contrario la migliora”, in quanto, se interiorizzata in maniera corretta, sviluppa i potenziali umani.
La nostra capacità tecnica ci ha permesso per esempio, e il pedagogista clinico ne è pienamente consapevole, di standardizzare i metodi per raggiungere determinati obiettivi.
Il problema nasce nel momento in cui lasciamo che la tecnica prenda il sopravvento (tecnicizzazione, Postman). Se, per esempio, il pedagogista clinico permette che gli strumenti di valutazione standardizzati (come il QI, come qualsiasi test diagnostico) diventino l’unico dato a cui si affida, perde completamente di vista la situazione specifica che riflette la singolarità del caso valutato, si tecnicizza concentrandosi sullo standard e perde l’analisi qualitativa che si presta ad analizzare aspetti complessi e articolati.
La tecnica, in sostanza, deve aiutarci a raggiungere lo scopo, non farsi essa stessa scopo di ciò che facciamo.
Ed è proprio da qui che forse bisogna partire per adottare scelte valide e appropriate che consentano alle nuove generazioni di adottare le tecnologie preservando la qualità umana,
scongiurando pertanto il pericolo della reificazione della tecnica che la faccia diventare una realtà autonoma e fine a sé stessa.
Quindi una tecnologia che non ci sottomette, che non ci sostituisce, che non ci compensa, ma che semplicemente ci aiuta a potenziare quelle abilità che fanno parte della nostra storia e che, da sempre, distinguono la nostra specie da tutte le altre.
Sul campo

A luglio 2017 viene proposto ad un istituto comprensivo nella provincia di Milano un progetto di screening sui prerequisiti di apprendimento della scrittura che abbia però, come obiettivo, anche quello di coinvolgere tutti gli insegnanti e le famiglie.
Dopo una prima presentazione del progetto al Dirigente scolastico e alla responsabile BES-DSA, viene programmato un incontro per coinvolgere e promuovere consapevolezza nel corpo insegnanti sul percorso nel quale vengono coinvolti in prima linea.
La premessa si reputa indispensabile per spiegare il significato delle prove che si andranno a somministrare ai bambini della scuola e per capirne quindi l’obiettivo ultimo.
Viene infatti proposto un protocollo di bilancio grafo-motorio.
Le insegnanti mostrano particolare interesse per il progetto chiedendo che nella restituzione vengano date indicazioni su come adottare strumenti di prevenzione e/o intervento in casi di difficoltà già manifeste.
Data la grande partecipazione e interesse si propone allora, dopo la restituzione sui dati generali dello screening, un corso di formazione per approfondire le motivazioni alla base delle difficoltà di scrittura e quali misure sono a disposizione delle insegnanti per cercare di prevenire le stesse e/o di affrontarle nei casi in corso di difficoltà.
Nello screening sui prerequisiti di apprendimento della scrittura, il pedagogista clinico si occuperà, non solo della somministrazione delle prove e della valutazione delle stesse da un punto di vista quantitativo (come abbiamo visto attribuendo un punteggio definito per il livello di prestazione), ma anche e soprattutto di una loro valutazione da un punto di vista qualitativo.
In primis, in questa attività, lo aiuteranno le osservazioni libere, facendo riferimento in particolare alle informazioni immediate che ricaverà sul soggetto e/o sul gruppo preso in esame. Da clinico si occuperà quindi dell’individuo, del gruppo preso in sé ma anche del contesto ambientale inteso sia come ambiente di provenienza che come ambiente di osservazione.
Si tratta di un orientamento epistemico che gli permetterà, durante la somministrazione delle prove ma anche nella valutazione delle stesse, di non adattarsi pedissequamente al protocollo, ma di adattarlo al soggetto che si trova di fronte a lui e soprattutto di fare le dovute annotazioni ai risultati delle prove quantitative.
In sostanza le deduzioni, certamente soggettive, provenienti dall’osservazione vengono ad assumere una funzione utilmente ermeneutica al fine di adattare al caso specifico la prova e la valutazione stessa, nonché il progetto di intervento che ne consegue.
Anche nella valutazione, infine, non potrà leggere il quantitativo avulso dal qualitativo, ma si preoccuperà di integrare i dati numerici con le osservazioni ma anche con le informazioni raccolte dalle insegnanti.
Come dicevamo, il primo passo è stata la restituzione a livello generale a tutte le insegnanti che hanno partecipato al progetto, restituzione nella quale si sono esposti i risultati delle prove motorie e delle prove grafiche sottolineando i caratteri comuni ai gruppi-classe o al gruppo- scuola. I tratti più ricorrenti sono stati: collegamenti interrotti, pregrafismo difficoltoso, difficoltà nel riconoscimento del ritmo, scarsa consapevolezza del sé corporeo, prensione dello strumento grafico scorretta.
In conclusione, si è insistito soprattutto sull’importanza che i bambini sviluppino le abilità di base prima dell’ingresso alla primaria e quindi di quanto sia importante fare prevenzione sia in famiglia che nelle scuole di infanzia.
Si programma successivamente anche una restituzione per singole classi durante le quali verranno evidenziati:
• Casi per i quali è consigliabile una valutazione: ovvero quelli in cui il quadro generale risulta evidentemente compromesso
• Casi da monitorare e per i quali si procede ad una valutazione condivisa con l’insegnante
L’esito della restituzione è stato senz’altro positivo. Oltre ad esserci stato un quadro di accordo con le insegnanti rispetto alle difficoltà individuali rilevate, è emersa anche la necessità / richiesta di portare avanti un progetto di screening nelle scuole di infanzia dell’istituto omnicomprensivo , di coinvolgere i genitori organizzando un incontro di restituzione per sottolineare l’importanza che i bambini abbiano modo di sviluppare nel loro ambiente le abilità di base e , da ultimo ma di estrema importanza, la necessità di formazione da parte del personale docente.
E’ stato poi programmato un incontro con le famiglie che si poneva i seguenti obiettivi:
• Fornire alcuni suggerimenti in merito alle attività quotidiane che possano andare nella direzione dello sviluppo delle abilità generali (prerequisiti di apprendimento)
• Avvicinare le famiglie all’idea di accoglienza dei segnali eventualmente in arrivo dalla scuola, come segnali che costituiscono un campanello di allarme e meritano pertanto un approfondimento .
I genitori si sono mostrati molto curiosi e hanno fatto molte domande soprattutto per ciò che riguarda i suggerimenti delle attività quotidiane che possano essere formative e preventive di alcune difficoltà nelle abilità di base. Molte domande sono state poste anche sull’eventuale percorso di riabilitazione che si può fare in presenza di casi già certificati, partendo dall’osservazione che spesso alla certificazione seguono solo indicazioni di strumenti compensativi e dispensativi e non viene indicato un trattamento riabilitativo.
Queste curiosità sono state colte come buon esito dell’intervento che ha suscitato riflessioni importanti sulla questione “educabilità” che era quello che principalmente ci premeva trasmettere.
L’altra richiesta da parte delle insegnanti, riguardava l’esigenza di formazione con particolare riferimento alle difficoltà di scrittura.
Si è proposto allora un percorso in 4 moduli da due ore ciascuno:
1. Scrivere come processo cognitivo complesso: le abilità di base e le abilità specifiche di scrittura
2. Insegnare il gesto grafico: dal pregrafismo al corsivo
3. Difficoltà di scrittura: le disgrafie. Definizioni e Legge 170
4. Il rapporto con la famiglia
A conclusione di questa esperienza, possiamo affermare che l’intervento del pedagogista clinico non si è limitato alla somministrazione delle prove né alla sola valutazione delle stesse e alla restituzione sui singoli individui e sulle loro specifiche difficoltà, ma si è spinto oltre, in quanto, aiutato dall’analisi delle prove e soprattutto dalle osservazioni libere è stato in grado di cogliere caratteristiche comuni al gruppo e di agire ecologicamente sui diversi ambienti (famiglia e scuola) promuovendo così la nascita di una cultura di sensibilizzazione verso la diagnosi precoce , la prevenzione e l’ importanza dell’intervento.
Ha dato luogo, insomma, ad una sostanziale modifica del microsistema a cui appartengono i bambini di quel gruppo scuola, che ci auguriamo ne beneficeranno in futuro.
In sintesi lo screening pertanto ha permesso di raggiungere diversi obiettivi:
• Dare indicazioni mirate su difficoltà individuali emerse ( clinico e individuale)
• Formare una famiglia che interviene in maniera più consapevole per dare l’avvio agli apprendimenti scolastici (ecologico)
• una scuola che accolga la famiglia chiedendole aiuto senza viverla come intrusione con l’intento di restituire un progetto condiviso in un clima di fiducia reciproca (ecologico)
• Una scuola preparata ad una specifica didattica di apprendimento della scrittura (ecologico)
Forse il nostro lavoro consisterà prima di tutto nel riportare alla luce l’importanza che l’ambiente riveste nella nostra formazione e di quanto pertanto le abitità di base si possano e si debbano educare.

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