psicopedagogie.it
Istituto di Formazione in pedagogia clinica riconosciuto UNIPED (Unione Italiana Pedagogisti). Censita CNEL. Aderente CoLAP


Gli studenti cambiano, i docenti no
Come migliorare la relazione educativa attraverso la metacognizione

di Laura Riva
Docente scuola secondaria
Specialista in pedagogia clinica- Milano

La scuola italiana sta attraversando un lungo periodo di crisi che dura ormai da parecchi decenni: sono in aumento i casi di studenti che affrontano con fatica il loro iter scolastico, attraversando fasi difficili, in cui spesso si trovano a studiare materie per così dire “calate dall’alto”, dai contenuti troppo distanti dal loro mondo, di fronte alle quali si sentono perciò sempre meno adeguati, ma anche sempre meno motivati; ne conseguono inevitabili insuccessi, con altrettanto inevitabile calo dell’autostima, fino a giungere al cambio di indirizzo o, nei casi più gravi, all’abbandono. Lo stesso malessere è avvertito anche dagli insegnanti: non sono preparati ad adattarsi alle nuove situazioni e, se da un lato i ragazzi cambiano con ritmi vertiginosi nel loro modus operandi e nella loro emotività, i cambiamenti dei docenti richiedono tempi di realizzazione molto più lunghi; inoltre le riforme si susseguono, ma i “programmi da svolgere” rimangono sempre gli stessi e sembrano peraltro essere la principale preoccupazione di alcuni docenti che spesso dimenticano che la loro professione ruota attorno a un concetto chiave: la relazione umana all’interno della scuola intesa come luogo in cui si educa; a scuola si dovrebbero respirare gli entusiasmi, la passione (studium) di chi sta crescendo e ha voglia di apprendere, di chi, ormai cresciuto, desidera far conoscere e aiutare a crescere. Invece tutto sembra a volte essersi tramutato in un arido e gravoso dovere da parte di entrambe le componenti: i ragazzi si lamentano perché devono memorizzare qualcosa che non interessa loro e i docenti a loro volta perché poco importa agli allievi di ciò che essi spiegano. Che senso ha procedere su due linee parallele in un percorso che dovrebbe essere interattivo?
Solo attraverso un’efficace relazione tra studente e docente il gruppo classe, inteso sia come entità unica sia come insieme di singole unità, può veramente funzionare, non solo dal punto di vista umano, ma anche e soprattutto dell’apprendimento didattico.
L’efficacia delle relazione umana tra studente e docente verte principalmente attorno al concetto di comunicazione efficace che si deve applicare a tutti gli ambiti e i contesti entro cui la scuola si muove: non solo al piano emotivo-relazionale, ma anche alle modalità di trasmissione dei contenuti e di valutazione dell’apprendimento degli stessi.

Uno degli aspetti su cui i docenti dovrebbero essere sensibilizzati e a loro volta operare per una didattica più efficace è la metacognizione.
Essa consiste nella capacità di pensare sui processi mentali o meglio di poter riflettere sulle proprie capacità cognitive consentendo a ciascuno di monitorare costantemente i procedimenti attuati dalla mente per acquisire nuove conoscenze, intensificando i punti di forza e correggendo quelli di debolezza, rendendosi consapevole delle condizioni che favoriscono od ostacolano tale percorso.
La metacognizione costituisce quindi un valido aiuto, in quanto capacità di conoscere il proprio funzionamento mentale. Come educatori è necessario rendere gli alunni consapevoli dei loro processi mentali, dei vari tipi di attenzione che si possono stimolare, mostrare le diverse possibilità ai ragazzi, in modo che le facciano proprie, in base alla loro forma mentis e alle loro potenzialità, facilitando così il raggiungimento del successo scolastico.
Esso si può conseguire attraverso una serie di strategie didattiche, tese a valorizzare il potenziale di apprendimento di ciascun alunno e a favorirne l’autonomia. L’obiettivo si sposta quindi dall’oggetto dell’apprendimento alle modalità di apprendimento, sviluppando nell’allievo un atteggiamento attivo che lo porti a riflettere costantemente sulle proprie capacità attentive, di apprendimento, concentrazione, memorizzazione, insegnandogli, in una parola, ad “imparare”. L’allievo “metacognitivo” si propone di attuare una serie di strategie volte ad analizzare e a risolvere le varie situazioni. L’insegnante deve quindi portarlo a conoscenza delle diverse strategie esistenti (strategia di selezione, organizzativa, di elaborazione, di ripetizione) in modo che possa trovare quella più adatta a sè. L’azione metecognitiva consiste quindi nell’applicare nel modo e nella circostanza giusta la strategia più adatta per apprendere in un determinato contesto. Le strategie didattiche metacognitive hanno dunque una valenza specifica nello sviluppo delle competenze. L'approccio metacognitivo conferisce un ruolo fondamentale all'insegnante: quello di "facilitatore" di cambiamenti strutturali nei discenti.
Strettamente connesso all’approccio metacognitivo, è il concetto di stile cognitivo, ossia il modo in cui si affronta un compito o si risolve un problema e ci contraddistingue. Non si tratta di un metodo, o di un’abilità, né tantomeno di una strategia; non è quindi legato ai contenuti, né a determinate materie. Il processo di attribuzione avviene quando un individuo analizza un evento e poi, sulla base delle informazioni che sono in suo possesso, fattori individuali e motivazionali, attribuisce quell'evento ad una particolare causa: le attribuzioni sono quindi interpretazioni degli eventi che accadono, che producono il successo o il fallimento dell'individuo in un particolare contesto di vita, influenzandone le reazioni a quell'evento.
Spesso gli studenti vanno in crisi, soprattutto durante il passaggio da un ordine di scuola all’altro, in quanto si trovano davanti a nuovi metodi di insegnamento e a nuove richieste cui non sono abituati o, ancora peggio, di cui non capiscono obiettivi e fini; è in tali situazioni che all’impegno profuso non corrispondono risultati proporzionati e attesi e si assiste a un apparente crollo delle capacità intellettive. E’ a questo punto che occorre invece intervenire sullo stile cognitivo dello studente, prevenendo così la conseguente e inevitabile caduta dell’autostima. La causa dei fallimenti può essere vista come esterna (è colpa dell’insegnante) o interna (sono un fallimento). Compito dell’insegnante è educare alla responsabilità, a far capire che ci sono molte variabili nell’apprendimento che influiscono poi sul conseguimento del risultato.
E’ noto come, nelle situazioni di insegnamento-apprendimento fattori determinanti siano l’autostima che il ragazzo ha sviluppato e la motivazione all’apprendimento. Più ha sperimentato, nel suo percorso scolastico, insuccessi, rallentamenti, incapacità nello svolgimento dei compiti, più avrà elaborato un’immagine di sé perdente, depressiva e perciò tendente a sviluppare sentimenti di rifiuto e di fuga dal lavoro scolastico e “caduta” nelle prestazioni.
Per questo, un settore importante di analisi è quello degli stili attributivi, legati appunto a tali aspetti.
L'autostima è dovuta al fatto che gli individui tendono ad attribuire i successi a sé, a cause interne, quali impegno e capacità, e gli insuccessi a cause esterne, quali sfortuna o difficoltà del compito, mentre attribuiscono la riuscita dell'altro alla sua fortuna (causa esterna, instabile, incontrollabile) o all'aiuto ottenuto, e il suo fallimento alle sue incapacità e allo scarso impegno nel compito.
Le principali motivazione addotte dagli studenti per spiegare il loro successo o insuccesso scolastico sono: l’abilità, l’impegno, la difficoltà del compito, la fortuna; altre cause un po’ meno frequentemente considerate sono l’umore, la stanchezza, la malattia, l’atteggiamento dell’insegnante.
La tendenza individuale a scegliere alcune cause piuttosto che altre porta al consolidarsi di specifici stili attributivi (impegno/mancanza di impegno, abilità/mancanza di abilità, facilità/difficoltà del compito, fortuna/sfortuna).
Parecchi studi hanno evidenziato importanti rapporti tra attribuzioni e compiti cognitivi e in particolare gli effetti delle stesse sullo stato d’animo, sulla fiducia in se stessi in fase di apprendimento e sulla sensazione di inadeguatezza rispetto al compito.
È stato dimostrato che, se uno studente imputa il proprio insuccesso a una causa controllabile, interna, come ad esempio il mancato impegno personale, ha più probabilità di riuscire in compiti futuri perché ha la convinzione di poter controllare la situazione, aumentando motivazione e determinazione nell’assolvimento di un compito, anche complesso, per ottenere il successo nella prestazione. Naturalmente tale determinazione lo induce a mettere in atto strategie che gli permetteranno effettivamente di raggiungere il successo e perciò la sua attribuzione ne sarà rinforzata.
Chi invece tende ad attribuire il proprio insuccesso alla mancanza di abilità (causa interna, stabile, incontrollabile) presenta anche un basso concetto di sé che lo induce a non impegnarsi abbastanza poiché lo ritiene inutile, in quanto si sente inadeguato; ciò lo porta a fallire più volte e ad avere prestazioni peggiori.
Chi poi attribuisce i successi e gli insuccessi a cause esterne tende ad assumere un atteggiamento fatalistico senza sforzarsi di portare a termine i compiti. Di qui la stretta connessione tra metacognizione e stili attributivi.
Il buon docente deve quindi indurre l’allievo alla scoperta del proprio stile attributivo, renderlo consapevole che gli stili attributivi non sono innati, ma si acquisiscono nel corso della vita e per questo si possono cambiare; la scelta della causa per spiegare i propri successi o insuccessi, dal momento che incide sulle sulla probabilità di usare strategie adeguate per risolvere un compito, influenza l’apprendimento scolastico. Gli studenti con difficoltà di apprendimento possono non comprendere la relazione che esiste tra impegno, uso di strategie e prestazione efficace, relazione che sarebbe auspicabile venisse insegnata loro. Modificare lo stile attributivo è quindi importante per quei ragazzi che, a seguito di numerosi insuccessi, hanno imparato a non aspettarsi il successo e quindi a non fare niente per ottenerlo.
I ragazzi devono essere guidati ad imparare, conoscendo se stessi, rendendosi consapevoli di quali modalità attuano per apprendere, di quali tecniche li ostacolano e di quali invece possono essere utili a ricordare, per poterle utilizzare in modo automatico, certi però di poterle variare a seconda della situazione. Gli alunni impareranno così anche ad autovalutarsi e soprattutto a tenere presente che autovalutazione e valutazione del docente sono sul lavoro svolto, non sulla persona! Solo così l’alunno non perderà l’autostima, ma capirà che ha fallito perché era distratto, perché non aveva studiato, perché gli era poco chiaro un determinato concetto…
Costitutiva di qualsiasi processo formativo, la funzione valutativa è intrinseca all’insegnamento, rappresenta un’esperienza quotidiana nel lavoro scolastico: non è infatti possibile trasmettere o acquisire competenze senza tener conto del livello dei prerequisiti prima e dei progressi poi. Tuttavia ancora risulta poco compresa nei suoi significati educativi, sottovalutata nelle sue potenzialità formative, nei suoi effetti didattici e relazionali.
Ridotta a un numero o a un semplice giudizio, la valutazione viene percepita come un mezzo di selezione o promozione, un dovere necessario o, ancor più grave, uno “strumento di potere” da parte di molti docenti, e una incombente minaccia da parte degli studenti che rischia così di inquinare la relazione educativa.
Diventa quindi necessario che l’insegnante espliciti e socializzi agli allievi e famiglie l’approccio pedagogico insito nella valutazione, in modo che venga riconosciuta come dimensione fondante della relazione formativa. La valutazione può e deve acquisire una nuova visione: da funzione temuta, a potenzialità educativa, ricoprendo un ruolo di guida, di orientamento, di monitoraggio, di feedback, di conferma.
Gli studenti devono assumere la consapevolezza che la valutazione non è un giudizio, una sentenza, a volte addirittura una condanna, emessa da un insegnante/giudice, ma una risorsa in quanto consente di riconoscere l’efficacia o meno delle strategie messe in atto nel processo di apprendimento.
La valutazione è caratterizzata dal giudizio di chi forma, un giudizio che però mira al conseguimento di obiettivi, a produrre cambiamento, crescita, apprendimento; e soprattutto un giudizio sui risultati via via conseguiti, non un’etichetta che cataloga per sempre, provocando ansie e inducendo inevitabilmente alla demotivazione. Non sempre il voto viene concepito dalla scuola e dagli studenti come una stima del punto da cui partire e nemmeno come feedback del lavoro svolto, ma continua ad essere inteso come un’assegnazione di merito o demerito sull’allievo che spesso si identifica come persona con il voto negativo della verifica.
In particolare, nella formulazione dei giudizi bisogna aver chiaro che non si tratta di dare giudizi morali, di conferire meriti o biasimi, bensì di confrontare i “fatti” osservati a scuola con gli obiettivi disciplinari e interdisciplinari dell'attività edu¬cativa, per verificare se la programmazione è stata efficace e valida per consentire ad ogni alunno di fare i progressi previsti e per individuare gli elementi che sono stati di intralcio e quelli che possono aiutare.
Il giudizio è uno strumento efficace se è debitamente articolato, descrittivo, interpretativo; non lo è (e diventa controproducente) se si riduce ad una senten¬za. L’insegnante deve sempre accompagnare la valutazione con una spiegazione individuale per ciascun allievo per guidarlo a cogliere il senso di tale valutazione e impiegarla come risorsa: non conta tanto il voto o il giudizio finale di una verifica, quanto da che cosa sia scaturita tale valutazione; bisogna condurre l’allievo ad un’autovalutazione in modo che possa, attraverso la metacognizione, lavorare sui suoi punti di debolezza. Nel contempo la valutazione contribuisce ad aumentare nello studente la motivazione a migliorare nell’apprendimento, ad autovalutarsi, a corroborare le sue capacità. Può essere utile prevedere anche momenti di autovalutazione, in modo tale che il ragazzo capisca meglio la valenza formativa della valutazione stessa; infatti è spinto a lavorare e a meditare sulle proprie lacune, ma anche sulle sue capacità e potenzialità, quindi a riflettere sulle sue esperienze di apprendimento. Il ruolo dell’allievo sarà così ribaltato: da oggetto passivo di valutazione, diventerà soggetto attivo della stessa con un doppio risultato: didattico e formativo. Didattico perché divenendo consapevole dell’errore in modo autonomo, attuando un percorso di riflessione sullo stesso, riduce le probabilità di commettere il medesimo errore in futuro; formativo perché con l’aiuto dell’insegnante sarà guidato ad analizzare le cause che l’hanno indotto a sbagliare, ossia attraverso la metacognizione e la riflessione sugli stili attributivi, potrà rivedere e ricalibrare, se necessario, i propiri stili di apprendimento e le proprie strategie didattiche.
Quando si valuta, se lo si fa bene, si è d’aiuto allo studente in quanto lo si aiuta a capire meglio l’argomento da un lato, ciò di cui ha effettivamente bisogno dall’altro. Chi non si valuta o non è valutato ha minori opportunità di riconoscere le proprie carenze, quindi più possibilità di accumularne durante un percorso di apprendimento che è un processo in fieri. Riconoscere punti lacunosi significa puntare l’attenzione su di essi per poterli poi colmare. La valutazione se compresa nel suo valore, fa bene all’apprendimento, ne migliora la qualità; l’abitudine ad essere valutati e ad autovalutarsi sviluppa l’abilità di affrontare prove d’esame. Ecco che in tal modo la valutazione da temuta evitata che era, diventa una molla determinante nel far scattare ed evolvere il processo educativo offrendo la possibilità di meglio conoscersi per poi interrogarsi, progettare, fare scelte E’ perciò necessario che la competenza valutativa dei docenti sia formata più che sulle tecniche valutative, sull’approccio critico-pedagogico e che soprattutto venga comunicato e spiegato agli allievi nella sua valenza formativa.
Ruolo del docente è quello di promotore, non solo di uno sviluppo graduale ed efficace degli apprendimenti, ma anche della personalità dello studente, attivando strategie che favoriscano nell’allievo la crescita dell’autostima, della sicurezza personale, della fiducia nelle proprie possibilità e capacità, la consapevolezza delle potenzialità e competenze acquisite.
L’incoraggiamento passa, in buona parte, attraverso una corretta organizzazione della comunicazione in classe e ciò richiede che l’insegnante abbia egli stesso, oltre a solide competenze linguistiche e comunicative, anche adeguate capacità relazionali. L’insegnante attento manifesta costante attenzione per quanto i suoi allievi esprimono, ne valorizza gli interventi, li stimola ad ampliare il loro discorso attraverso forme di “intervento a specchio”, riprendendo cioè termini, frasi dell’allievo come per chiedergli se ha capito bene, in realtà per incoraggiarlo a continuare il discorso; si preoccupa di chiarire che la valutazione dell’intervento riguarda esclusivamente il suo contenuto informativo, linguistico e non la persona dell’allievo che è invece sempre oggetto di stima; tutte le volte che è possibile, sostiene l’allievo come “iniziatore” della comunicazione, consentendogli cioè di avviare la comunicazione e non solo di rispondere agli stimoli come nel modello classico della comunicazione didattica. Valorizza inoltre i progetti degli allievi e tiene particolarmente conto delle loro conoscenze pregresse, delle loro idee, delle loro concezioni, del loro punto di vista, degli ostacoli che essi incontrano nell’apprendere e del modo con cui essi costruiscono il loro sapere, in quanto parte attiva nel processo di apprendimento. L’insegnante deve quindi porsi come un educatore innanzitutto capace di ascoltare i bisogni dei propri allievi, presi nella loro singolarità. La significatività dei contenuti del percorso formativo di un ragazzo dipende da quanto, in tale circostanza, in tale fase della sua vita, questo percorso possa corrispondere a delle aspettative, a dei bisogni. Per raggiungere tale fine lo stile di insegnamento dovrebbe essere quello del coinvolgimento, della personalizzazione nella costruzione degli obiettivi formativi; efficace per cogliere le potenzialità, gli interessi, le doti, ma anche le debolezze del gruppo attraverso la discussione è l’utilizzo dell’ascolto attivo, fondamentale soprattutto nella fase di ricognizione dei bisogni. Esso consente di realizzare unità di apprendimento che non risultino “troppo distanti”, non solo dal mondo in cui gli allievi vivono, ma anche dalle loro capacità di raggiungere gli obiettivi prefissati senza incorrere in frustrazioni. Occorre saper andare al di là di ciò che è prevedibile, ampliare anziché restringere gli orizzonti, ammettendo al loro interno anche disorientamento e sconcerto: l’insegnante deve cioè diventare un “esploratore” alla scoperta di vie alternative, necessarie ad ogni percorso formativo. Non sarà più un semplice esecutore di programmi attuati con modalità predefinite, che persegue sempre gli stessi obiettivi, attribuendo come unica motivazione al mancato raggiungimento degli stessi la negligenza o l’incapacità degli allievi; di fronte allo smarrimento degli alunni, anziché lasciarsi a sua volta travolgere dallo scoraggiamento, diventerà un creativo che riesce a vedere e ad aprire nuove prospettive. Ponendosi empaticamente in ascolto con la classe, nella sua complessità e nelle sue unità, deve essere in grado di coglierne le potenzialità e avere il coraggio di rimettersi in discussione di fronte a chi si aspetta di essere compreso, guidato e aiutato. Per non perdere parte dell’efficacia del processo formativo è necessario stabilire obiettivi ampi e dinamici, prendendo coscienza, come insegnanti, dei propri punti di forza e di debolezza, ben consapevoli che l’imprevisto è strutturale all’evento educativo e a volte può essere trasformato in risorsa.

Prof.ssa Laura Riva
Insegnante di Scuola Secondaria
Specializzata in Pedagogia Clinica (Milano)

Uniped
 
 

 

Specialisti disturbi dell'apprendimento Vimodrone (Mi)

 

Seguici anche su
.
seguici su facebook
 
Seguici su Twitter

La sede | Chi siamo? | Contattaci

CSP, Centro Scolastico Pedagogico Via C. Battisti 38 - 20090 Vimodrone (Mi) - PI 05991470963