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La sindrome da alienazione parentale.
I figli nella separazione e nel divorzio

di Annamaria Tupputi
specialista in pedagogia giuridica


A causa di incomprensioni ed errori, talvolta due persone arrivano ad abbandonare la lotta per cercare di mantenere vivo l’amore che li lega; il risentimento verso il coniuge si trasforma in rassegnazione, indifferenza, senso di solitudine. Poi arriva la cocente delusione dell’ammettere che il proprio matrimonio è stato uno sbaglio che sarebbe stato meglio non commettere.
La separazione dei coniugi è un istituto di carattere tendenzialmente transitorio, sia sotto il profilo giuridico che sotto quello “psicologico”, dato che, pur non essendoci divieti al mantenimento sine die della condizione di “separati”, il rapporto di regola evolve o nella riconciliazione tra le parti oppure nella constatazione dell’irreversibilità della crisi, con la possibilità di addivenire alla sentenza di divorzio. Solo quest’ultima è in grado di sciogliere il matrimonio, facendo venir meno lo status giuridico di coniuge, mentre la pronuncia di separazione non è idonea a incidere né sulla validità dell’atto matrimoniale (prerogativa delle sentenze di nullità del matrimonio), né sulla prosecuzione del vincolo in questione.
Il divorzio è lo strumento giuridico attraverso il quale è possibile sciogliere il matrimonio celebrato solo civilmente oppure far cessare gli effetti civili del matrimonio “concordatario”, ossia quello che, sulla base di specifici e formali accordi tra lo Stato Italiano e la Santa Sede, pur essendosi celebrato in Chiesa, è stato trascritto nei registri dello stato civile e, pertanto, spiega effetti anche civili. Il divorzio, dunque, è l’unico istituto giuridico capace di far cessare gli effetti giuridici del matrimonio con effetti ex nunc, ossia solo a partire dal momento in cui viene pronunciata la sentenza che accerta non solo la cessazione della convivenza e dell’affectio maritalis (comunione materiale e spirituale fra i coniugi) e l’impossibilità di ricostituire l’unione familiare.
Protagonisti passivi di quella che sta diventando una situazione sempre più comune tra le famiglie italiane sono i figli, condannati talvolta a crescere in un clima di ostilità, oppure “orfani” di un padre lontano. Infatti, la custodia dei figli rappresenta spesso il nodo centrale dell’esacerbarsi del conflitto nei casi di separazione e divorzio dei coniugi. Ci sono bambini che vengono richiesti “in ostaggio” per continuare a controllare il partner, oppure quali “finanziatori” per avere una rendita mensile e un buon appartamento pagato dall’altro coniuge, o che vengono concessi perché sono “bastoni tra le ruote” affinché il coniuge che lo ha in affidamento non se la spassi troppo dopo che si è separato. Tutto ciò crea nei bambini coinvolti ulteriore sofferenza che va ad aggiungersi al trauma provocato dalla separazione dei genitori.
È stato evidenziato dalla L. 8 Febbraio 2006, n. 54 che Il bambino, per crescere, ha bisogno di entrambi i genitori, e della loro alleanza nel fornirgli un’educazione condivisa.
Come evidenzia Gaddini (1985), sul quale sarebbe interessante approfondire il discorso, l’istanza di “appartenenza” e l’istanza di “separazione” sono le due coordinate entro cui ogni individuo sviluppa se stesso, realizza, in pratica, la propria individualità differenziandosi da quella che Bowen (1979) chiama “massa indifferenziata dell’io familiare”.
Mentre la madre resterà sempre la condizione dell’esistere, il ruolo del padre è quello di aiutare ciò che esiste a divenire. In questo lavoro di crescita, i due genitori devono diventare i collaboratori di queste forze propulsive, in una sorta di condivisione dei compiti (alleanza genitoriale nell’educare il proprio figlio). Quando queste alleanze assumono le caratteristiche di vere e proprie coalizioni (alleanze di due o più membri a danno di un terzo), ci troviamo di fronte a quella situazione che nell’etologia animale Konrad Lorenz ha descritto come mobbing, ossia come un’aggressione del branco verso un individuo isolato reso isolato.
All’interno del sistema familiare, invece, il mobbing si manifesta con quella che Gardner definisce “sindrome da alienazione parentale” (Parental Alienation Sindrome - Pas), caratterizzata dal comportamento di uno o più figli che, nel contesto del conflitto tra i genitori, diventa ipercritico e denigratore nei confronti di uno dei due, talvolta influenzato o indottrinato adeguatamente dall’altro.
Alcune caratteristiche della Pas evidenziate da Gardner, che la distinguono dalle normali dinamiche relazioni familiari, sono:
• il figlio cambia atteggiamento dopo l’affidamento provvisorio e senza una ragione plausibile;
• le critiche/accuse all’altro genitore appaiono inconsistenti, esagerate, contraddittorie o contraddette dai fatti;
• le critiche/accuse appaiono stereotipate, prive di dettagli e copia-carbone del pensiero di uno dei genitori;
• le critiche/accuse sono estranee all’ambito di esperienza di un bambino;
• la formulazione di critiche/accuse contiene informazioni che solo l’altro genitore può aver fornito;
• il bambino vive ansia e paura nell’incontrare l’altro genitore in assenza di ragioni concrete;
• il bambino si preoccupa di tutelare, senza una ragione specifica, un genitore rispetto all’altro;
• mostrerà inoltre un certo legame a favore dell’eventuale nuovo compagno del genitore rispetto all’altro genitore biologico;
• si ravvisa la presenza di razzismo familiare (“Noi siamo brava gente, mentre tuo padre…”);
• si ritiene che un genitore sia solo vittima, mentre l’altro è colpevole o responsabile.
Talvolta questo comportamento è il risultato di un indottrinamento psicologico, più o meno consapevole, di uno dei due genitori nel figlio a danno dell’altro.
Particolarmente importanti sono le tecniche indirette che solitamente incidono più sottilmente sull’opinione e sul comportamento del bambino o del ragazzo. Esse fanno leva sulle emozioni e sul senso di lealtà. Esempi di stratagemmi sono:
• raccontare aneddoti in cui l’altro genitore risulta in una veste compromessa (Tuo padre ha l’amante);
• esagerare il proprio ruolo di educatore e sminuendo quello dell’altro (Ti ho cresciuta da sola);
• soddisfare i desideri del figlio che l’altro limita o disapprova;
• mostrare gusti e opinioni diametralmente opposti a quelli dell’altro genitore;
• “sgenitorializzare” l’altro genitore (chiamandolo con il proprio nome e non con l’appellativo “papà” o “mamma”);
• metacomunicare in modo paradossale sull’altro genitore (“ci sarebbero molte cose da dire su tuo padre…ma io sono buona e non dico nulla”);
• creare doppi legami che confondono il bambino e lo rendono facilmente suggestionabile (“Vai da papà anche se mi lascerai sola/o”);
• mistificare le impressioni e i sentimenti del figlio;
• chiedere continuamente al figlio cosa ne pensa dell’altro genitore, costringendolo a prendere posizioni, e premiarlo o punirlo a seconda delle sue risposte.
L’utilizzo di tali tecniche porta il bambino a schierarsi con un genitore o con l’altro e a re-interpretare la realtà secondo le caratteristiche del genitore che agisce su di lui.
La letteratura sul tema riporta le caratteristiche psicologiche e comportamentali del genitore bersaglio che faciliterebbero l’instaurarsi della Pas (Wakefield, Underwager, 1990; Rand, 1997):
1. sesso, in due terzi dei casi il genitore bersaglio è il padre, che ha maggiori probabilità di essere vittima della Pas, specie quando viene accusato falsamente di abuso sessuale;
2. responsabilità del fallimento del matrimonio, viene spesso preso di mira il genitore responsabile della separazione;
3. distanza emotiva dai figli, diviene bersaglio il genitore che ha un atteggiamento distaccato nei confronti dei figli o che è spesso fuori casa, tanto che ha meno probabilità di recepire immediatamente la situazione, e quando reagisce viene percepito negativamente dai figli che si schierano con il genitore più presente;
4. atteggiamento verso la situazione, il genitore che reagisce con la minor risolutezza nei confronti della separazione e dell’affidamento, è più probabile che diventi bersaglio. In questo caso mostrerà anche atteggiamenti di aggressività e sarà più semplice attribuirgli la responsabilità della causa del conflitto.
A volte a causa della stanchezza e al bene che provano per i figli, che sono provati dal trasferimento di uno dei due in un altro appartamento, i coniugi mettono da parte il senso di frustrazione ed estraneità verso tutto ciò che riguarda la vita matrimoniale. Tutto ciò grazie ad un percorso di mediazione familiare che incoraggia i coniugi a provare a restare una coppia separatamente ma insieme.
La mediazione introduce una logica nuova, che invece di ricercare un vincente e un perdente favorisce il perseguimento di un guadagno comune per genitori e figli. In questo senso, si coglie molto bene anche la differenza con gli accordi presi nelle sedi giudiziarie e in cui spesso le persone, invece che essere protagonisti delle proprie scelte, le subiscono. Tutto ciò è molto utile; tuttavia è importante che le persone siano in prima persona convinte di voler intraprendere questo percorso in modo da sentirsi davvero protagonisti degli accordi presi, anche perché la mediazione familiare non mira alla soluzione dei conflitti, e tantomeno ad una conciliazione, ma tende a ridurre gli effetti indesiderabili di un grave conflitto, ovvero a favorire una tregua tra i coniugi, una ripresa del dialogo tra loro.

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Specialisti disturbi dell'apprendimento Vimodrone (Mi)

 

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