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FENOMENO HIKIKOMORI: interventi di pedagogia giuridica

di dott.ssa Stefania Gambini – specialista in pedagogia giuridica

Vive rinchiuso in casa, senza alcun contatto con l’esterno, né con gli amici. Lascia raramente la sua abitazione, consuma persino i pasti all’interno della propria stanza.
Ecco chi è l’Hikikomori.
Un giovane in carne ed ossa che segue uno stile di vita fuori dall’ordinario.
Con il termine giapponese hikikomori si indicano, infatti, coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento. Fino a vivere come clochard, tra i propri rifiuti, dormendo di giorno, oscurando le finestre, restando attivi di notte, con altri suoi simili, sui social network o in interminabili sessioni multiplayer.
Una reclusione volontaria che prende spunto da una ribellione della gioventù giapponese alla cultura tradizionale, da parte degli adolescenti, diffusasi dagli anni Ottanta.
Una reazione alle pressioni sociali, alla severità del sistema scolastico, alla spinta verso l’omologazione, alle madri oppressive, ai padri assenti, al bullismo.
Fenomeno che da una decina di anni si è affacciato anche negli Stati Uniti e in Europa, mentre in Italia i primi casi accertati di sospetti hikikomori sono stati segnalati circa quattro/cinque anni fa.
L’hikikomori è dunque una patologia diagnosticabile in persone che hanno trascorso almeno sei mesi in una condizione di isolamento sociale, di ritiro dalle attività scolastiche o lavorative, senza alcuna relazione al di fuori della famiglia.
Solitamente sono giovani tra i 19 e 30 anni, maschi primogeniti nella maggioranza di casi, che sentono il bisogno di liberare la propria personalità dalle convenzioni dettate dalle famiglie, dalla scuola, e questo senso di ribellione può portare loro ad entrare in conflitto con il proprio ruolo nella società e favorire esperienze legate alla marginalità.
Il giovane nell’intimità della propria stanza, a sua volta protetta dal mondo e dal resto dell’abitazione, cerca di dare un senso e un valore all’esistenza propria ed altrui attraverso l’esercizio di un rito soffocante per se stesso e per i suoi familiari, ma a lui necessario ed inevitabile.
Nella terapia è determinante il rispetto delle difese psichiche di questi giovani.
Altrettanto importante è la richiesta d’aiuto da parte della famiglia e della scuola.
Questa richiesta è spesso pressante e induce gli operatori della salute mentale ad agire attivamente e ad indurre comportamenti più aderenti alle regole sociali.
Il lavoro delle famiglie rappresenta dunque il primo passo per un corretto approccio terapeutico ed evitare inutile forzature nelle dinamiche psicologiche.
Non esiste una strategia terapeutica univoca per il trattamento dei soggetti hikikomori, né sono reperibili studi clinici sulla terapia di tali pazienti.
Come in molte altre patologie psichiatriche, l’approccio al trattamento comporta una combinazione di psicoterapia e di psicofarmacologia.

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