psicopedagogie.it
Istituto di Formazione in pedagogia clinica riconosciuto UNIPED (Unione Italiana Pedagogisti). Censita CNEL. Aderente CoLAP

Disturbi di apprendimento e seconda lingua
E’ così necessario dispensare gli studenti con difficoltà di apprendimento dallo studio della seconda lingua?

Di Laura Angela Gatti
Docente di Lingua Inglese
Specialista in Pedagogia Clinica – Milano

Come insegnante di lingua inglese mi ha sempre lasciato perplessa la possibilità data ai bambini con disturbi di apprendimento di essere dispensati dalla lingua inglese. Questo non solo perché lo studio della stessa mi ha sempre affascinato, pur nell’evidente difficoltà che porta la lingua stessa, ma anche perché l’inglese è la lingua con cui si comunica con tutto il resto del mondo.
Privare un bambino con disturbi di apprendimento di questa possibilità nella sua vita, mi sembra troppo.
Tanto più che c’è la possibilità di modificare e modellare la “classica” lezione di inglese, con un tipo di lezione un po’ più creativa, ma che si avvicina, secondo me all’esperienza e al vissuto.
Non voglio assolutamente sembrare presuntuosa nello stilare un piccolo prontuario, atto proprio a dare una serie di consigli che possono rendere un po’ più accessibile la lingua inglese anche a chi ha disturbi di apprendimento e che trova particolarmente difficoltoso apprenderla.
Mi sono domandata: se per me non è necessario che lo studente con difficoltà di apprendimento debba lasciar perdere la lingua straniera, in che modo lo posso aiutare a rendere l’apprendimento di questa lingua più fluido e anche accattivante? Per fare questo ho cercato di analizzare le problematiche che un soggetto con DSA trova nell’affrontare l’apprendimento di una lingua straniera e ho provato a trovare delle strategie potenzialmente attuabili.
Ho principalmente lavorato su tre modalità di insegnamento:
- Traduzione sì o traduzione no?
- Lavorare sul concreto.
- Favorire l’orale senza tralasciare lo scritto.

TRADUZIONE SI O TRADUZIONE NO?
Uno dei problemi maggiori per i soggetti con disturbi di apprendimento nello studio della lingua straniera è proprio effettuare la traduzione da una lingua ad un’altra, perché questo richiede molto lavoro di interconnessione tra i due emisferi neuronali.
Il primo consiglio è quindi di evitare che si usi la traduzione: in realtà si tratta di un consiglio indirizzato al sistema di insegnamento in generale. I miei studi universitari mi hanno insegnato infatti che la traduzione da una lingua straniera alla propria e soprattutto viceversa, sono l’ultimo step di un lungo lavoro di conoscenza della lingua. I bambini, soprattutto i piccoli, dovrebbero essere stimolati ad un contatto con la lingua straniera almeno settimanale, utilizzando una modalità di insegnamento tipo “full-immersion” totalmente in lingua, senza continui passaggi dall’inglese alla lingua madre. Per farsi capire, per esempio si possono utilizzare delle immagini oppure il mimo, che si riferiscono ad una parola o meglio ad un gruppo di parole.
Nel momento in cui poi si arriva alla primaria e si introduce la lettura e soprattutto la scrittura, rimane importante lavorare su parole, brevi frasi e successivamente frasi più lunghe sempre collegandole al loro significato “visivo”. Nello studio della lingua straniera, a mio avviso, possiamo farci aiutare dal meccanismo della percezione, la quale non solo discrimina i dati (le lettere delle parole in inglese) , ma interpreta facendosi aiutare da ciò che già si conosce. Se devo insegnare per esempio i nomi dei frutti in inglese, usando delle cards e nominandoli direttamente in lingua, non c’è necessità alcuna di doverli tradurre in italiano. I bambini che ho di fronte tendenzialmente sanno già a cosa corrisponde l’immagine in lingua italiana, la devono invece “imparare” in inglese. Lo stesso vale per azioni che si compiono quotidianamente (per esempio lavarsi, pettinarsi, mangiare…).Nel caso poi di bambini con DSA, trovo corretta la modalità attuata dalla scuola inglese, di focalizzarsi sull’imparare a leggere e scrivere correttamente con l’esercizio continuo almeno delle parole ad alta frequenza e magari sorvolare su quelle meno frequenti. Al posto di concentrarsi sulla correzione, soprattutto nella lettura, dello spelling, favoriamo invece la lettura predittiva e globale, e la conseguente scrittura predittiva: sono convinta che mano a mano che si immagazzinano più vocaboli, modi di dire, frasi brevi o lunghe, il numero degli errori diminuirà, perché sarà favorita la predizione, e la correzione della stessa basandosi sul contesto. Tutti impariamo infatti a leggere prima, e scrivere poi, in questo modo: captiamo le parole per intero e non frammentate nei loro singoli foni; ci impadroniamo delle parole intere, magari commettendo errori, che poi con l’esercizio e l’esperienza perfezioniamo. Come si legge nel testo di Crispiani: “-leggere o attribuire significato a stringhe di segni, prima di conoscere le lettere; - leggere molte parole prima di aver analizzato le lettere che le compongono; - leggere per tentativi ed errori, anziché per analisi o fusione di lettere; - leggere parole contenenti errori od omissioni di lettere” .
Proprio rifacendomi all’ultimo punto della citazione sopra riportata, sono frequenti esercizi di questo tipo nei testi di spelling che ho visionato durante la mia visita alla scuola inglese. Si tratta di brevi frasi prima e successivamente, a livelli avanzati, anche brevi brani dove vengono inserite delle parole omofone e che l’alunno, grazie al contesto deve correggere se errate. Per esempio in un testo visionato, nell’esercizio “Find the mistakes” (“Trova l’errore”), l’alunno è tenuto a leggere la storia e a trovare l’errore in parole omofone. Per esempio “The night road out from the castle…”, l’errore è night perché si dovrebbe scrivere knight ( le due parole si leggono allo stesso modo). La parola corretta si evince dal contesto. Infatti la frase tradotta sarebbe “La notte uscì dal castello..”, dove notte è il vocabolo errato, si dovrebbe scrivere cavaliere. Questa tipologia di esercizi stimola la ricerca della parola corretta e l’autocorrezione , poiché la parola giusta si può trovare solo capendo il contesto generico del brano.

LAVORARE SUL CONCRETO
L’altro aspetto che mette in difficoltà i soggetti DSA è il lavorare in astratto: per evitare ciò il consiglio è di lavorare ovviamente sul concreto, portando esempi tratti da video, immagini, cards, giochi reali, cartelloni, e tutto ciò che visivamente possa rimanere impresso. Mi permetto di ripetermi, e ciò può essere visto come un consiglio di insegnamento generalizzato: la lingua la impariamo con tutto il contorno delle esperienze che la accompagnano. Non sto parlando solo del vocabolario, ma anche della prosodia, della mimica, dell’intonazione, dell’accentazione, della gestualità: tutti aspetti che sono più facilmente individuabili “vivendo” la lingua, ma possiamo trovare delle strategie che si avvicinino a queste esperienze. Perché ciò permette non solo di vedere le parole associate alle figure, ma aiuta a memorizzarle e assicura la corretta comprensione. Ancora una volta faccio riferimento ad una delle attività a cui ho assistito durante la mia visita: The Easter Egg Hunt (trad. La caccia dell’uovo di Pasqua). Si tratta di una rappresentazione teatrale, preparata dall’insegnante di classe e proposta come attività di teatro agli alunni. Per Pasqua infatti la classe era chiamata a rappresentarla davanti ai genitori: ognuno degli alunni impersona un animale ed impara una parte, che deve poi essere in grado di recitare. Ogni settimana, durante l’orario di lezione, gli alunni si preparano per la recita. Il motivo per cui ho scelto questa attività è che a mio avviso calarsi in un ruolo e “fare finta di” può aiutare a lavorare sul concreto, avendo la possibilità di “vivere” di persona un’esperienza. Non è necessario doverlo fare davanti ad una platea, lo stesso tipo di attività si può proporre come “role-playing” in classe, in piccoli gruppi o a coppie. L’interazione permette poi di creare relazioni anche all’interno del gruppo classe, favorendo la coesione tra gli alunni stessi, e permette altrettanto di entrare a contatto con vocaboli, sintagmi e modi di dire anche non tipici dell’ambiente scolastico, ma molto più “quotidiani”. I bambini della scuola inglese, da questo punto di vista sono più fortunati: loro hanno la possibilità di fare questo tipo di esperienze comunicative durante l’intervallo, il pranzo a mensa, l’arrivo a scuola, etc. Non è detto che “role-playing” calati in diverse situazioni comunicative, non possano essere attuate anche durante le lezioni di lingua inglese nelle scuole italiane.

FAVORIRE L’ORALE SENZA DIMENTICARE LO SCRITTO
Sicuramente il terzo consiglio è di lavorare molto sull’orale: l’insegnante deve parlare e scandire bene le parole, usare molta prosodia accompagnandosi con il giusto tono e i gesti appropriati.
Personalmente non tralascerei lo scritto, se c’è una cosa che ho imparato dalla mia giornata alla scuola inglese è che anche i bambini con DSA possono scrivere in inglese. Certo loro erano in qualche modo costretti a farlo, ma non credo che dispensarli dal farlo sia la mossa giusta. Adotterei magari un diverso tipo di approccio nel valutare gli errori di spelling, ma li farei scrivere in inglese: aiuta sicuramente a tenere in allenamento il “mettere in sequenza” una certa tipologia di lettere, che combinate danno questo o quel suono.
Una buona tecnica per avvicinarsi allo scopo mi è sembrata “Look Say Cover Write Check”, utilizzata sempre nell’ambito dello studio dello spelling. Alla fine di ogni lezione oppure all’inizio di ogni lezione si propone l’attività “What have you learnt?” (cosa hai imparato?), dando la possibilità agli alunni di riflettere su ciò che hanno appena fatto o ciò che hanno fatto la volta precedente. Gli si chiede di scegliere cinque parole che sono state per loro particolarmente difficili. Li si invita a scriverle, sottolineando la o le parti difficoltose (dello spelling). Gli si chiede di leggerle per conto proprio, poi coprirle e provare a riscriverle. Praticata regolarmente aiuta a guardare in modo critico il proprio lavoro e ad ascoltare e a ripetere con cura. Si possono incoraggiare gli alunni ad usare questo metodo per imparare le parole ad alta frequenza oppure le parole che più frequentemente sbagliano, e che preventivamente hanno evidenziato nei loro scritti. Per avere un effetto ottimale, è meglio fare questo esercizio con piccoli gruppi di parole. Ciò che trovo molto positivo in questo esercizio è il lavoro metacognitivo che sta dietro. La metacognizione, infatti, si rivela spesso un valido aiuto perché permette di lavorare sui proprio processi mentali, di riflettere sulle proprie capacità cognitive, le monitora e permette di registrare i progressi, facendo leva sui punti di forza e sostenendo i punti deboli. Non sto parlando in modo specifico di stili attributivi, ma semplicemente il fatto che con l’esercizio sopra citato, ci si fermi a riflettere su cosa è stato fatto, cosa ha creato difficoltà, che strategia usare per non ricommettere l’errore, mi sembra un grande lavoro metacognitivo, che a lungo andare potenzia anche l’autostima dell’alunno.

Queste conclusioni dervivano da osservazioni e colloqui con le insegnanti presso una scuola inglese, frequentata da bambini madrelingua italiana, di cui alcuni certificati DSA. E’ ovvio che in questa scuola i bambini non possono essere dispensati dall’inglese, mi sono quindi chiesta come facessero questi bambini a frequentare le lezioni.
Sicuramente mi sono state riferite difficoltà dei soggetti soprattutto nello spelling, che però con il passare degli anni scolastici , con il continuo esercizio e con lo studio costante, si sono mano a mano affievolite.
Ho provato quindi a chiedere come gli insegnanti si comportano con tutti coloro che sono diagnosticati tali: mi è stato riferito che si richiede loro la conoscenza dello spelling delle parole così dette “HIGH FREQUENCY WORDS”(“Parole ad alta frequenza”), e se il soggetto continua a commettere errori proprio in quelle parole che si ritengono necessarie per una mediamente corretta scrittura e una lettura comprensibile, tali errori vengono calcolati. Se gli errori di spelling vengono fatti con parole a bassa frequenza o nuove, gli insegnanti sorvolano.
Mi ha stupito positivamente il fatto che non si rilevi senso di disagio o frustrazione nei soggetti, poiché abilitati e coinvolti in tutte le attività, pur riconoscendo di commettere degli errori, che rivelano certamente che loro sono diversi dagli altri nell’esecuzione, ma non nelle potenzialità. Inoltre le insegnanti lavorano sul potenziamento dell’ autostima, utilizzando molti commenti positivi che spronano lo studente a fare sempre meglio (correggendo e scrivendo i voti in colore verde). E anche nel caso di commenti che evidenziano una carenza, lo stile con cui sono scritti non rivelano mai un giudizio negativo, ma cercano di trovare la positività anche nell’errore (Es.: “Next week aim for 6” = “La prossima settimana punta al sei”).
Trovo di positivo in questo metodo il fatto che, prima di tutto così facendo si tengono sotto controllo gli eventuali disequilibri emotivi dello studente (le frustrazioni, le ansie, la vergogna, i blocchi, la sfiducia) ed affettivi (demotivazione, rifiuto, disinteresse); si valorizzano i punti di forza aumentando l’autostima e la sicurezza dell’alunno; si potenziano le aspettative di successo dello studente; si fa continuamente esercitare la mente dello studente, proprio perché i problemi sono intesi come di natura strumentale e non intellettiva.
Questo più che mai è il segno che anche chi ha problemi di apprendimento, di qualsiasi forma, può studiare una lingua straniera. Dispensare dalla lingua inglese non risolve il loro problema.

Uniped
 
 

 

Specialisti disturbi dell'apprendimento Vimodrone (Mi)

 

Seguici anche su
.
seguici su facebook
 
Seguici su Twitter

La sede | Chi siamo? | Contattaci

CSP, Centro Scolastico Pedagogico Via C. Battisti 38 - 20090 Vimodrone (Mi) - PI 05991470963