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Istituto di Formazione in pedagogia clinica riconosciuto UNIPED (Unione Italiana Pedagogisti). Censita CNEL. Aderente CoLAP

LA DISPRASSIA NELL’AUTISMO

di Sara Volontè, pedagogista clinico Milano

Tutto ciò che facciamo e che ci circonda è motricità.
Ma cosa succede quando la capacità motoria è disordinata? Come può un bambino avere uno sviluppo adeguato se ha un deficit dal punto di vista motorio?
Per motorio non intendo solo ed unicamente il movimento di un braccio o di una gamba.
Per motricità intendo anche la capacità di articolare dei suoni per produrre delle parole, articolare dei pensieri per poter comunicare, organizzare in modo sequenziale più movimenti per costruire diverse azioni motorie, insomma, tutto ciò che impatta lo spazio e il tempo e reca una velocità.
Quando manca la capacità di organizzare atti motori il risultato è il caos.
E proprio l’autismo è un disturbo che rimanda spesso al concetto di caos, un caos di tipo cognitivo.
L’incapacità di organizzare atti motori per il raggiungimento di uno scopo si chiama Disprassia.
L’autismo e la disprassia sono disordini d’integrazione sensoriale e hanno una matrice neurologica comune con comorbilità del 45%.
Ma come si manifesta la Disprassia nel disturbo autistico?
Quali sono gli aspetti neurologici che li accomuna?
Il lavoro che viene qui presentato è un tentativo di rispondere a queste domande con la consapevolezza che ogni soggetto è unico e speciale e che per ognuno bisogna avere un occhio specifico e attento ad identificare diversità funzionali che lo caratterizzano.

LA DISPRASSIA
La Disprassia può essere definita come una difficoltà a rappresentarsi, programmare ed eseguire atti motori consecutivi e finalizzati ad un preciso scopo ed obiettivo.
La parola disprassia deriva dal greco praxis (prassia) e dal prefisso dis (disordine) e da qui prende forma il significato di azione disturbata, o contrariata, quindi una condizione che riguarda le funzioni esecutive umane e la loro qualità.
La disprassia rimanda allo stato della disorganizzazione, quindi alla disorganizzata esecuzione di azioni, di movimenti organizzati e volontari pur in assenza di impedimenti organici o di deficit sensoriali.
Ad eccezione di forme di disordine motorio conseguenti a patologie neuromotorie la sindrome disprattica è congenita ed accompagna lo sviluppo della persona definendosi come disprassia evolutiva, quindi primaria e specifica. Essa consta di una condizione di diversità, meglio riconoscibile come disordine, quindi di natura qualitativa.
Essa interessa la motricità in ogni sua declinazione: motorio, oculo-motorio, linguistico, di pensiero, lettorio, scrittorio, grafo-motorio, mnestico, del calcolo orale, dell’organizzazione spazio-temporale in generale.
Possiamo definire due grandi categorie di disprassia:
1. DISPRASSIA ESECUTIVA: consiste nella difficoltà a riprodurre a livello motorio una sequenza corretta e coordinata a livello spazio/tempo.
2. DISPRASSIA IDEATIVA: riguarda la difficoltà nel rievocare e rappresentare mentalmente un programma motorio corretto.
Secondo alcuni autori, nel bambino disprattico parti del sistema nervoso cerebrale non sono sufficientemente mature da permettergli di seguire un tracciato o un programma, dall’inizio dell’azione sino alla risposta, senza che avvenga un’interruzione della trasmissione tra le reti sinaptiche o senza che il processo venga sfalsato per eccessiva lentezza della trasmissione.
La disprassia è sempre presente nei casi di agenesia del corpo calloso, nella sindrome di Joubert, nei casi di sindrome di Williams, sindrome di Down, nei DGS e Asperger.
In questo lavoro si vogliono indagare le componenti disprassiche presenti nel Disturbo Generalizzato dello Sviluppo e in modo specifico nell’Autismo.

L’AUTISMO
L’Autismo è una sindrome comportamentale di origine neurobiologica caratterizzata da un grave disturbo organizzativo del pensiero e delle principali funzioni che regolano l’adattamento umano.
? un disturbo generalizzato, o pervasivo, dello sviluppo di tipo fondamentalmente qualitativo a carico di gran parte delle funzioni umane, presente in ogni area geografica e con una prevalenza maschile (4:1). È da considerarsi come un disordine funzionale, o delle funzioni esecutive, e comporta una disabilità generale permanente connotandosi prevalentemente per tre aree di disturbo (triade autistica) che riguardano:
• COMPROMISSIONE QUALITATIVA DELL’INTERAZIONE SOCIALE
• COMPROMISSIONE QUALITATIVA DELLA COMUNICAZIONE
• MODALITÀ DI COMPORTAMENTO, INTERESSI E ATTIVITÀ RISTRETTI, RIPETITIVI E STEREOTIPATI.
Nel DSM-IV-TR viene incluso entro il “Disturbo Generalizzato dello Sviluppo” o “Disturbo Pervasivo dello Sviluppo”.
I soggetti affetti da autismo, oltre alla classica triade sintomatologica, risultano affetti da numerosi disturbi motori.
In letteratura sono descritte numerose osservazioni cliniche riguardo a deficit neurologici. In particolare è presente un ritardo nell’acquisizione delle funzioni motorie primarie, che si manifesta nella difficoltà a organizzare in modo fluido e coordinato una serie di movimenti. I bambini con autismo risultano così scoordinati, goffi e maldestri.
Inoltre i bambini con autismo mostrano una persistenza dei riflessi “primitivi” (presenti nel neonato) e alterazioni del tono muscolare. Sono infatti stati descritti come ipotonici.

IL SISTEMA MOTORIO
Gli uomini non si muovono semplicemente per muoversi, ma perché vogliono raggiungere un obiettivo.
? però utile distinguere 3 tipi di “attività motoria”:
• Il movimento può essere inteso come il risultato dell’attivazione di un limitato distretto muscolare che produce lo spostamento nello spazio di una o più articolazioni, come avviene mediante la stimolazione elettrica della corteccia motoria che si traduce in un movimento semplice, come per esempio la flessione del pollice.
• Gli atti motori sono movimenti con uno specifico scopo motorio. Raggiungere un oggetto è un atto motorio che porta il braccio dell’agente sull’oggetto selezionato. Il successo del raggiungimento è dato dall’informazione sensoriale che la mano ha quando raggiunge l’oggetto; questo è il rinforzo dell’atto motorio.
• Le azioni motorie sono formate da numerosi (raramente uno) atti motori seguiti da rinforzi biologici. Afferrare la tazza di caffè, portarla alla bocca e iniziare a bere, è un’azione motoria. Il rinforzo è rappresentato dal piacere di bere il caffè.
Nelle condizioni ecologiche in cui vivono molti animali e tutti i primati, incluso l’uomo, non è sufficiente poter eseguire atti motori finalizzati. È infatti continuamente necessario programmare intere sequenze di atti motori, coordinandone i singoli scopi (come “raggiungere”, “prendere”, “portare”, ecc…) in azioni più complesse, contraddistinte da uno scopo finale sovraordinato.
Il conseguimento dello scopo motorio di ciascuno dei singoli atti che compongono la sequenza è indispensabile per poter eseguire il successivo e per consentire in ultima analisi la realizzazione dello scopo finale dell’azione che, in questo senso, ne identifica la causa funzionale o, in altri termini, “il perché” debba essere messa in atto. Una recente prospettiva neurofisiologica riconosce in quest’ultima accezione del termine “scopo” quello “stato interno o rappresentazione”, che è alla base dei processi di selezione e organizzazione dell’azione stessa: l’intenzione motoria.
Si possono distinguere diversi livelli di controllo motorio durante l’esecuzione dei movimenti, livelli gestiti da aree e strutture cerebrali differenti.
Presiedono all’elaborazione e all’organizzazione del movimento le seguenti aree cerebrali:
• i lobi frontali deputati a programmare ed organizzare sequenze motorie complesse e a mettere in atto il comportamento predittivo. Sono formati da:
1. la corteccia motoria primaria, ha il ruolo d’iniziare il movimento, ma non di pianificarlo;
2. la corteccia premotoria, gestisce la preparazione dei muscoli posturali per l’inizio del movimento e per l’orientamento del corpo e del braccio verso uno stimolo target;
3. la corteccia motoria supplementare, ha un ruolo fondamentale nella programmazione di sequenze complesse dei movimenti piuttosto che a livello dell’esecuzione.
Sulla base di studi condotti con tecniche di neuroimaging, è stato possibile evidenziare come durante compiti motori semplici (aprire e chiudere la mano) non si ottiene nessuna attivazione della corteccia motoria supplementare, mentre si ha un’attivazione importante a livello della corteccia motoria primaria. Al contrario, in compiti motori complessi (ad esempio tapping alternato delle dita) si ha un’attivazione di tutte le aree prima descritte.
• i lobi parietali deputati a guidare tutti i movimenti in risposta a stimoli esterni, mettendo in atto il comportamento di risposta;
• il sistema limbico che ha il preciso compito di percepire le emozioni, gli stati mentali degli altri e di immagazzinare i ricordi correlati all’esperienza motoria;
• il cervelletto, ha il compito di armonizzare tutti i parametri motori, anche i più complessi ed è responsabile della coordinazione motoria e della postura;
• i gangli della base, prendono parte al controllo cognitivo dell’attività motoria elicitando quali schemi di movimento eseguire e con quale sequenza per raggiungere l’obiettivo dell’azione motoria.
Un’azione volontaria è il prodotto di una sinergia che coinvolge, a diversi livelli di funzionamento, aree corticali differenti che, nella loro specificità, contribuiscono a determinare il migliore adattamento possibile all’ambiente .
Nel soggetto autistico le aree cerebrali che presiedono all’elaborazione e all’organizzazione del movimento funzionano in modo anomalo.
Le anomalie frontali impediscono l’attenzione condivisa, l’immaginazione, a favore di una rigidità della condotta e abilità inutili e ripetitive.
Le anomalie dei lobi parietali determinano perdita di controllo, disordine delle funzioni esecutive e disordine di memoria di lavoro.
Un cattivo funzionamento del sistema limbico, e nello specifico dell’ippocampo e dell’amigdala, determina un’alterata incapacità di capire le emozioni e una disturbata capacità di immagazzinare i ricordi legati all’esperienza motoria.
Un anomalo funzionamento del cervelletto determina disprassia, anomalie dei movimento oculari e ipo-ipertonicità.
L’organizzazione del movimento è frutto, inoltre, delle strette connessioni tra aree motorie e sensoriali. In particolare, la corteccia frontale e la corteccia parietale posteriore risultano costituite da un mosaico di aree anatomicamente e funzionalmente distinte, ma fortemente interconnesse tra di loro tanto da formare circuiti destinati a lavorare in parallelo e integrare informazioni sensoriali e motorie. L’attività di tali circuiti neuronali è consentita dalle cellule Mirror (specchio) che si attivano non solo quando il soggetto compie l’azione, ma anche quando vede compiere l’azione da un altro soggetto. Le cellule Mirror, dunque, hanno un ruolo determinante nell’apprendimento dell’atto motorio.
Nei soggetti autistici si riscontra un’attività disturbata delle cellule Mirror e delle funzioni esecutive.
La disprassia, in questi soggetti, si presenta su due livelli:
• a livello efferente: l’azione, rappresentata mentalmente, non si traduce correttamente in atto motorio finalizzato (DISPRASSIA ESECUTIVA);
• a livello afferente: il soggetto presenta una disfunzione percettiva tale da non consentire una corretta rappresentazione mentale dell’azione (DISPRASSIA IDEATIVA).
Recenti studi conferiscono al sistema motorio un ruolo chiave nel mediare la capacità di eseguire e di comprendere le intenzioni altrui. E’ dunque plausibile ipotizzare che il danno a carico di tali meccanismi possa essere alla base dei deficit riscontrati nell’autismo.

I NEURONI SPECCHIO
Scoperti agli inizi degli anni ’90 da un gruppo di ricerca, tra cui il neuroscienziato italiano Giacomo Rizzolatti, soprannominati neuroni dell’empatia poiché attraverso essi siamo in grado di percepire le intenzioni e le sensazioni. Si tratta infatti di un sistema neurologico che attiva gli stessi codici sia nel compiere un’azione che nell’osservare la stessa azione in altri soggetti, pertanto lavora in relazione a sé ed all’altro da sé.
L’indagine, che nasce dallo studio della gestualità umana ed animale ha rilevato la presenza, prima nelle scimmie poi nell’uomo, di neuroni mirror grazie ai quali l’osservazione di un’azione induce nell’osservatore l’attivazione dello stesso circuito nervoso che ne controlla l’esecuzione. Per effetto di tale funzione, l’essere umano e la scimmia sono in grado di strutturare a livello neuromotorio delle azioni, ivi comprese quelle linguistiche, già dall’osservarle eseguite da altri, ponendo così una decisiva opzione sulle relazioni tra mente ed azioni, ovvero sulla natura cognitiva della motricità e del linguaggio.

I NEURONI SPECCHIO E LA DISPRASSIA
Alcuni autori, in originali loro lavori, hanno ipotizzato che alla base della disprassia possa esserci un deficit del sistema dei neuroni specchio che non consente all’individuo di rappresentarsi internamente l’atto motorio da compiere, assumendo una prospettiva in prima persona, ma percependo parti del proprio corpo come esterne ad esso.
Sempre Wilson, in un altro suo lavoro del 2001 ha rilevato nei soggetti con Disprassia un deficit delle sequenze motorie in un pointing visivo, con assenza di relazione tra i movimenti reali e quelli immaginati. Proprio questa difficoltà a immaginarsi in una situazione motoria, a rappresentarsi internamente il proprio corpo, è tipica dei soggetti che presentano una disprassia.
Ciò è responsabile della difficoltà che questi bambini finiscono per avere nel controllo della propria motricità, particolarmente nell’esecuzione di compiti che richiedono l’attivazione di processi di elaborazione mentale, come ricordare sequenze motorie complesse (allacciarsi le scarpe, fare nodi, compiere un esercizio ginnico o sequenze di danza, riprodurre un disegno a memoria).
Sembra che questi disturbi possano essere conseguenti ad un ritardo di maturazione o ad una lesione vera e propria del lobo parietale, la cui disfunzione porterebbe ad una carenza nell’attivazione delle risposte motorie collegate ai processi di immaginazione.

I NEURONI SPECCHIO E L’AUTISMO
In seguito alla scoperta dei meccanismi specchio nel macaco e successivamente nell’uomo, alcuni ricercatori si sono chiesti se alcuni aspetti della sindrome autistica non fossero dovuti ad un ipofunzionamento di questi neuroni. È stato infatti osservato che le funzioni in cui il sistema specchio sembra essere coinvolto, sono proprio quelle compromesse nell'autismo.
L'ipotesi che l'incapacità a relazionarsi con le persone in modo ordinario, sintomo principale dell’autismo, dipenda da un malfunzionamento del sistema specchio è stato proposto alcuni anni fa da Altschuller e collaboratori (1997) e da Williams e collaboratori (2001). Solo di recente, però, indagini anatomiche ed evidenze provenienti da studi neurofisiologici (EEG, MEG, TMS) e di neuroimmagine hanno supportato questa ipotesi .
Il tema tradizionale di ricerca dell’autismo che risulta tuttora acceso e senza unanimità di vedute, riguarda una delle funzioni del sistema specchio, l’imitazione.
Il sistema specchio, fornendo una copia motoria dell’azione osservata, appare essere il candidato neurale ideale per l’imitazione.
Chiare evidenze in favore di questa ipotesi, provengono da numerosi studi che mostrano come questo sistema sia coinvolto nella ripetizione di azioni fatte da altri, ma anche nell’apprendimento per imitazione.
Oberman e collaboratori (2005) hanno effettuato un’analisi EEG delle onde cerebrali mu in bambini a sviluppo tipico e in bambini affetti da autismo. Poiché il ritmo mu (8-13 Hz) registrato sulla corteccia senso motoria riflette l’attività dei neuroni specchio, un modo per misurare l’integrità di questo sistema è quello di misurare la risposta mu durante l’esecuzione e l’osservazione di azioni.
E’ stato stabilito che il mu si sopprime quando gli individui eseguono e osservano un’azione. Lo studio ha dimostrato che in esecuzione, la registrazione dell’attività elettrica non mostrava alcuna differenza sostanziale tra i due gruppi, mentre nella fase di osservazione dei movimenti le onde mu erano soppresse soltanto nei bambini con sviluppo tipico, ma non in quelli autistici.
L’ipotesi avanzata da questi autori è che alla base dell’incapacità dei bambini con autismo di entrare in relazione con gli altri (di capire gli altri) ci sia un mal funzionamento del sistema specchio, in quanto necessario per la codifica dell’azione altrui.
Si può concludere che alla base della disprassia e dell’autismo ritroviamo un errore o una distorsione nello sviluppo del sistema dei neuroni specchio.
Questo modello di “disfunzione dell’imitazione” spiegherebbe, in parte, la relazione tra disprassia e autismo dato che una è co-condizione dell’altra.

FUNZIONI ESECUTIVE
“Funzioni esecutive” è un termine ampio, utilizzato per descrivere i processi coinvolti per la preparazione e l'attuazione dell'azione, la cui disfunzione si esprime nella difficoltà a iniziare un'azione, pianificarla, monitorarla ed inibire le risposte inappropriate, come la perseverazione del gesto.
Sono descritte come abilità, mediate dai lobi frontali, nel mantenere una appropriata strategia di problem solving con lo scopo di raggiungere un obiettivo.
I comportamenti relativi alla funzione esecutiva riguardano la pianificazione di un progetto in un programma, l’organizzazione ed il controllo dei comportamenti di interazione, lo sviluppo di abilità specifiche (prassie).
Le Funzioni Esecutive riguardano pertanto un atto volontario e definendo le Prassie come sistemi coordinati di movimenti in funzione di un intenzione e di un risultato sottolineiamo la stretta correlazione esistente tra un deficit in queste funzioni e le difficoltà prassiche.
Il disturbo della funzione esecutiva si manifesta nell’incapacità di compiere movimenti volontari, coordinati sequenzialmente tra loro in funzione di uno scopo. Tale difficoltà è a livello ideativo, progettuale fino alla sua realizzazione.
Deficit delle funzioni esecutive nel Disturbo Pervasivo dello Sviluppo sono riportati da Ozonoff(1994) , Hill (2004), Luna(2007), Highers (1994), Ozonoff et al. (2004).
Tali deficit sono noti da anni in soggetti che avevano riportato danni a livello dei lobi frontali .
L’identificazione dei lobi frontali nelle funzioni di programmazione, regolazione e controllo dell’agire di ogni tipo (motorio, linguistico, del pensiero,ecc.) risale agli originari, seppur incompleti studi si A.R. Lurija agli inizi del ‘900.
Ulteriori ricerche, testimoniate da T. Shallice, descrivono i comportamenti di pazienti con disordini del lobo frontale mettendo in evidenza “un disordine della programmazione, della regolazione e verifica dell’attività”, rilevando la tendenza ad eseguire i programmi d’azione abituali “senza un’adeguata selezione, monitoraggio e controllo”. Segnala quindi Shallice che tali lobi sono considerati “il luogo delle operazioni di controllo più critiche di livello superiore e che una lesione di queste strutture dà origine a disordini di queste funzioni”, rimando molto pertinente al disordine funzionale piuttosto che al deficit intellettivo, infatti confermando precedenti affermazioni di D.Hebb, rileva anche la scarsa o nulla attinenza tra lesioni al lobo frontale e difficoltà delle funzioni intellettive.
Si ipotizza pertanto un nucleo di difficoltà prassiche nel DGS identificabile con la difficoltà di seguire uno schema mentale e motorio che permetta di usare gli oggetti e/o il proprio corpo in maniera comunicativa e finalistica. Alla base di ciò è possibile che esista una difficoltà od un’impossibilità a mantenere un’adeguata rappresentazione mentale del proprio corpo o degli oggetti e di attuare un feed back in maniera efficace che è una delle competenze delle funzioni esecutive.

IL CICLO PERCEZIONE-AZIONE-COGNIZIONE
Osservare un’azione induce automaticamente la simulazione della stessa, secondo un meccanismo che consente una forma implicita di comprensione delle azioni altrui. Lo stesso avviene ascoltando la verbalizzazione di azioni.
I neuroni mirror dunque consentono anche di comprendere le intenzioni di chi compie le azioni.
Nelle ricerche degli ultimi anni basate sulle teorie dell’embodied cognition, del connessionismo e dei sistemi dinamici è emerso sempre di più l’interesse per le idee relative agli aspetti dello sviluppo legati al binomio corpo-mente e si va sempre più affermando l’ipotesi che le esperienze ricavate dal corpo giocano un ruolo essenziale per lo sviluppo della mente, ovvero per lo sviluppo cognitivo.
Secondo questa nuova prospettiva, quindi, rispetto all’emergere di nuovi apprendimenti, viene enfatizzato lo stretto legame tra percezione-azione-cognizione; la nozione che la mente, il pensiero, nasce e si sviluppa dall’interazione del corpo con l’ambiente.
Secondo il modello dell’embodied cognition l’individuo agisce nell’ambiente senza possedere una rappresentazione di natura puramente cognitiva che lo guida, ma compie dei movimenti in base alle informazioni che gli provengono dall’ambiente stesso, nel momento della stessa azione e sul ricordo di esperienze simili.
La cognizione, quindi, nasce e progredisce tramite l’esperienza e la percezione del mondo circostante e l’azione su di esso.
Il bambino “apprende” via via che nell’interazione e attraverso la mediazione dell’adulto è messo in condizione di recepire e sperimentare azioni in termini positivi, che sodisfino scopi e intenzioni che si è prefisso.
Quindi lo sviluppo del sé e delle potenzialità personali dipende da fattori intrinseci, ma anche dall’ambiente e dall’interazione con l’altro.
Apprendere significa dunque “ costruire il proprio Io, ogni giorno diverso e rinnovato, costruire il mondo esterno, ogni volta più ricco perché conosciuto e vissuto in misura maggiore e in modo diverso, costruire ed affinare gli strumenti di conoscenza, cioè i recettori (i cinque sensi) al servizio dell’Io, sempre proiettati verso il mondo esterno”.

INTENZIONALITA’ E METACOGNIZIONE
Per quanto riguarda il termine azione è importante considerare il concetto di intenzionalità a essa implicita e, in particolare, di movimento intenzionale.
L’azione intenzionale finalizzata consiste nella costruzione di atti elementari, ordinati in serie, la cui performance è modificata nel senso di una sempre minore variabilità e maggiore economia, per merito del feedback, feed-forward e della comprensione e verifica dei risultati.
Bruner ha posto in rilievo quanto il momento della verifica del risultato sia determinante per l’evoluzione globale del bambino.
L’apprendimento di schemi motori si evolve a partire dai comportamenti istintivi o riflessi. Attraverso dei pre-adattamenti, altamente flessibili, i comportamenti da riflessi si trasformano in atti intenzionali (azioni) solo dopo che il bambino ha potuto verificare quali adattamenti comportamentali gli procurano soddisfazione.
L’intenzionalità porta alla formulazione di un programma per autoregolare il proprio organismo e realizzare la sequenza motoria. Questa competenza è anche detta metacognizione.
L’esperienza metacognitiva viene definita, quindi, come consapevolezza e controllo di se stessi e dei propri processi interni e come capacità di pianificazione e si differenzia dalla conoscenza metacognitiva che riguarda la capacità di riflettere sui propri processi cognitivi avendone quindi consapevolezza.
Per comprendere il ruolo svolto dalla metacognizione, vengono messe in evidenza quattro funzioni:
• predizione: la capacità di rappresentarsi una sequenza di eventi;
• progettazione: la capacità di organizzare, nel modo più economico, un’adeguata procedura procurandosi anche gli strumenti di cui si ha bisogno;
• monitoraggio: la capacità di saper controllare l’andamento di un processo cognitivo;
• verifica: la capacità di saper valutare il risultato raggiunto e correggere gli eventuali errori.
L’acquisizione di competenze ed abilità precoci si realizza tramite i parametri intenzione e verifica del risultato. Più precisamente, a proposito dell’intenzione, la competenza precoce riguarda in misura considerevole il feed-back che non è soltanto un controllo “a posteriori”, ma presuppone un processo interno che verifica il risultato a partire dalla rappresentazione del mondo esterno, costruita dall’esperienza precedente.
Il feed-back è in primo luogo feed-forward (cioè a priori) ed è dunque costituito da tre momenti:
• il feed-forward o feed-back interno, che riguarda la preparazione e l’anticipazione dell’azione;
• il feed-back vero e proprio, che si realizza nel corso dell’azione;
• la verifica del risultato, che vale come un feed-back “a posteriori”.
L’intenzione coincide cronologicamente con il feed-forward, con la “rappresentazione” mentale dell’attività, e con la programmazione degli atti sequenziali indispensabili per realizzarla.
L’intenzione si sviluppa molto precocemente: fin da subito, alla nascita, sono presenti e quantificabili alcuni aspetti:
• l’anticipazione della comparsa di un atto;
• la selezione dei mezzi appropriati;
• la direzione del comportamento;
• la capacità di organizzare sequenze di movimenti
Date le premesse possiamo riconoscere le difficoltà di apprendimento di un bambino per il quale la percezione del mondo è difficoltosa sin dai primi momenti di vita, in termini sia di percezione che di organizzazione dell’azione.
I problemi riguardano sia le funzioni processanti che i processi di controllo e quindi la capacità di coordinazione, programmazione e attenzione simultanea della sequenza degli atti necessari per il conseguimento di azioni tendenti a specifici scopi.
Questi sono problemi che ritroviamo sia in bambini con Autismo sia in quelli con Disprassia.
In entrambi i casi possiamo definirli come bambini che “non sanno fare” o che “non sanno ancora fare” o che “non hanno ancora imparato” a realizzare funzioni. Oppure hanno acquisito determinate funzioni, ma le sanno realizzare in modo stereotipato, cioè con strategie povere o con scarse alternative.
La povertà delle strategie, cioè la stereotipia dei comportamenti, impedisce di acquisire nuovi compiti trasferendo, per analogia, soluzioni strategiche già acquisite. Imparano una cosa alla volta, in un certo modo e solo in quel modo, senza realizzare soluzioni alternative e senza possibilità di trasferimento.

 

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