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IL CORPO NELLA RELAZIONE D’AIUTO

Dott.ssa Giada Cassetti- Pedagogista

 

Una strada per entrare in sintonia con se stessi, liberandosi dagli schemi comportamentali che ci imprigionano, è quella di imparare ad amare ed apprezzare il proprio corpo.

Restituire la possibilità di muoversi, gioire, conquistarsi lo spazio nel mondo con allegria e con un attento contatto terapeutico rappresenta una tappa fondamentale nello sviluppo e nel recupero di esperienze, forse "mai vissute", forse "poco attraversate", comunque sopite che rappresentano però i pilastri di una primitiva sicurezza.

In psichiatria il corpo, in passato, è stato un’entità maltrattata ed incompresa: era qualcosa da legare, da tenere a bada, da percorrere con scariche elettriche, da sedare.

Oggi, per fortuna, non è più visto come una "macchina" da aggiustare e manipolare ma come un "compagno di strada" che può venirci in aiuto, se ne abbiamo cura e se impariamo a decodificare i messaggi che ci invia costantemente.

Avere la possibilità di vivere esperienze gratificanti e concrete, esperite in maniera piena, attraverso una ritrovata condizione di benessere consente una migliore strutturazione sia del sé fisico sia del sé psichico tale da rendere possibile il recupero di abilità personali perdute al fine di favorire il reinserimento sociale.

Il movimento in sé è un linguaggio attraverso il quale l’uomo ha espresso da sempre le sue più alte aspirazioni fondamentali.

Oggi abbiamo dimenticato non solo come comunicare con il corpo, parlare attraverso di esso ma, anche, come ascoltarlo.

Comunicare attraverso il movimento permette al nostro corpo di inserirsi all’interno di un sistema circolare ove la circolarità è a garanzia della stessa comunicazione.

È importante sottolineare che tale sistema è universale, applicabile a tutti i tipi di movimento ma soprattutto, richiede un nuovo modo di pensare e sentire il proprio movimento: dove nasce il corpo, con che qualità, dove va o ci porta, nello spazio a quali stati emotivi, mentali e fisici si collega.

Tale metodologia di osservazione e di descrizione delle caratteristiche qualitative del movimento analizza gli aspetti che contribuiscono al processo motorio ossia lo spazio, il corpo, la forma e la portata dinamica e ne studia, osserva e sperimenta le correlazioni, le connessioni e la focalizzazione spaziale, l’uso del peso, le vibrazioni del flusso, i ritmi, gli accenti, i fraseggi; tutto ciò al fine di imparare a modellare e a modulare l’espressione del proprio corpo.

Si può, inoltre, accedere alle memorie che in esso abitano, si trovano così toni, colori e significati del suo modo di esprimersi, se ne comprende la forma, l’organizzazione, i modelli e gli schemi motori, così come se ne colgono il fluire delle emozioni, i blocchi, i silenzi.

Tutto diventa parte di un vocabolario che si amplia sempre più e che permette di entrare in contatto profondo prima con se stessi e poi con l’altro e di ascoltare i messaggi di questo linguaggio così prezioso e ricco.

L’ambito del disagio mentale rappresenta un terreno privilegiato di intervento in quanto consente di associare una serie di attività con valenze educativo-riabilitative quali ad esempio attività di tipo occupazionale, alle valenze creative dei linguaggi artistici con il loro potenziale comunicativo e simbolico.

I quadri clinici a cui ci si indirizza vanno dalle psicosi alle nevrosi, dai disturbi del tono dell’umore, ai deficit dello sviluppo cognitivo.

Tanto nella storia dell’umanità quanto in quella dell’individuo è, appunto, attraverso il corpo, i gesti, le danze rituali che l’essere umano comincia a conoscere se stesso e l’ambiente che lo circonda.

Nell’antichità gli esseri umani esprimevano i loro bisogni più profondi attraverso l’esecuzione di danze che creavano unità e condivisione nei momenti significativi della vita sociale.

Mediante il movimento ritmico del corpo venivano soddisfatte esigenze istintive e spirituali e venivano condivise intense esperienze emotive, dalle più terrifiche alle più estatiche. Attraverso l’uso rituale del proprio corpo in movimento, gli esseri umani tentavano di rendersi propizie le divinità e le forze della natura, cercando di creare un ponte con l’universo ignoto.

La danza era anche una forma di preghiera e molte erano le danze di guarigione grazie alle quali le malattie venivano curate e le emozioni trasformate.

La danza, quindi, è un fenomeno universale attraverso il quale i miti raccontano della creazione del mondo testimoniando l’intima connessione con la vita.

Il corpo della danzamovimentoterapia è il corpo vivente, la persona stessa; è, perciò, un corpo intersoggettivo perennemente in relazione; snodo di scambi comunicativi, simbolici, erotici, affettivi, allusivi, emozionali,……. È il corpo della danza estatica che si perde nel tutto, il corpo che gioca nella danza profana; il corpo che, muovendosi inconsapevole, crea continuamente i propri movimenti ma anche il corpo che soffre e narra la sofferenza dei propri affetti ed il disordine dei propri percetti.

Non è mai un corpo solo, individuale: non lo è perché sempre articolato ad un corpo cosmico e collettivo, non lo è perché chi vive esiste in una continua rete di scambi intersoggettivi, non lo è perché il corpo proteso in un individuo indivisibile; nasce sperimentandosi come frammentato e, al tempo stesso, fusionale, può sperimentare la dissociazione, sperimentare comunque la molteplicità e la dialettica delle sue parti.

È un corpo che ha il suo peso ma anche la sua gravità, la sua leggerezza ma anche la sua evanescenza.

Il corpo nella danzamovimentoterapia è, però, anche uno strumento, oggetto e soggetto di cura: cura di tutta la persona cioè della sua corporeità, di stati mentali ed emotivi e della sfera relazionale.

A che questo processo di cura possa realisticamente avvenire, il corpo deve essere sottoposto a una serie di vincoli che ne dischiudono le possibilità trasformative.

La maggior parte dei vincoli corporei sono affidati a consegne dipendenti dalle caratteristiche dell’utenza, dal momento della storia del gruppo e da obiettivi specifici.

Non è sempre facile muoversi spontaneamente …… direi persino coesistere con reciproca evidenza corporea; se nella prassi psicoanalitica il corpo è relativamente vincolato all’immobilità, il primo vincolo nel setting di danzamovimentoterapia è, al contrario, quello legato al movimento o, in fasi del lavoro che ne prevedano un ruolo meno attivo, comunque legato alla costante presenza corporea sia a se stessi sia agli altri.

Ciò che rende riconoscibile la danzamovimentoterapia è innanzitutto il suo linguaggio: il movimento corporeo nella sua valenza espressiva e comunicativa.

Ciò che distingue le differenti pratiche di danzamovimentoterapia è l’utilizzo del movimento espressivo all’interno di relazioni esplicitamente orientate alle proprie tradizioni antropologiche, alla riabilitazione, alla prevenzione, allo sviluppo della comunicazione interpersonale, alla formazione, alla promozione delle risorse umane.

La danzamovimentoterapia trova la propria, anzi le proprie specificità in una molteplicità di relazioni d’aiuto e di contesti istituzionali, in cui il linguaggio psicomotorio e il processo creativo assumono declinazioni complesse e diversificate.

La chiave di volta delle specificazioni applicative della danzamovimenoterapia è la strutturazione del setting; essa fa riferimento alle tre coordinate in cui si svolge l’esperienza: lo spazio, il tempo e il corpo.

Il setting è lo spazio rituale di una situazione all’interno della quale si esprime l’intervento; è il come in cui si confluisce tutto ciò che si vuole derivare dai più disparati perché.

Per fondare un setting di danzamovimentoterapia occorre decidere preliminarmente in merito ad una pluralità di variabili: obiettivi di lavoro, tipologia dell’utenza, gravità delle patologie e le loro peculiarità psicomotorie, analisi della domanda, modalità di selezione e di accesso, assetto duale o gruppale, numero di partecipanti, numero previsto di sedute, durata e cadenza, presenza o meno di altri contemporanei trattamenti, presenza o meno di altri operatori e/o osservatori, variabili culturali specifiche.

Parametri fondamentali per la costruzione del setting sono il tipo di conduzione, gli interventi del terapeuta, le concrete modalità di utilizzazione del corpo nello spazio e nel tempo, i principali eventi processuali attesi….., variabili tutte queste soggette a frequenti mutamenti e, necessariamente, oggetto di attento monitoraggio.

Ogni buona tecnica di danzamovimentoterapia agisce come facilitatore del processo nel suo insieme: da forma, è un "gioco psicomotorio" interattivo in cui il movimento abituale di ciascuno viene ad essere consapevolmente arricchito, in cui si esplorano movimenti non abituali, in cui si sperimentano determinate configurazioni motorie, vecchie e nuove espressioni motorie.

In danzamovimentoterapia assume grande importanza, inoltre, la dimensione artistica ed estetica, percettivo — motoria, simbolica e relazionale.

Tuttavia ogni buona tecnica di danzamovimentoterapia ha una precisa porta d’ingresso nella circolarità del processo: agisce cioè primariamente evidenziando il movimento abituale, proponendo determinate configurazioni motorie, facilitando la ricerca e l’esplorazione del corpo o, infine, articolando configurazioni motorie eterogene (o addirittura polari) nel continuum dell’esperienza personale.

Si distinguono, perciò, quattro principali valenze nelle consegne proposte nel setting di danzamovimentoterapia:

empatiche: le cui consegne mirano innanzitutto ad evidenziare le caratteristiche del movimento abituale;

esplorative: che puntano soprattutto ad incoraggiare l’esplorazione di nuove possibilità motorie;

pedagogiche: ove le consegne servono a proporre configurazioni motorie determinate;

integrative: che promuovono l’articolazione di modalità nuove e modalità abituali di movimento cioè la personalizzazione e l’integrazione dell’esperienza.

Ogni buona tecnica/proposta/consegna contempla tutte e quattro le valenze ma ne esprime in modo prevalente una o due.

Nelle esperienze del mio gruppo di lavoro ogni intervento privo di valenze empatiche non entra in rapporto con la persona e con il suo mondo interno; ogni intervento privo di valenze esplorative risulta inefficace perché eccessivamente conservativo e morfostatico (puro intrattenimento); gli interventi privi di valenza pedagogica rischiano a volte di essere confusi o poco incisivi; gli interventi privi di valenza integrativa sono inadeguati perché realizzano situazioni troppo attivanti sul piano emotivo nella misura in cui restano ultimamente frammentate e dissociate rispetto al continuum psicomotorio.

Nella mia esperienza ho maturato anche la convinzione che interventi a tutto campo, non orientati su una o due valenze descritte, risultano spesso sfocati, generici e poco incisivi.

Le proposte ad elevata valenza empatica sono caratterizzate dal ricalco, dal rispecchiamento, dall’amplificazione e dalla ripetizione dell’espressione motoria degli utenti, da tutte quelle azioni cioè che evidenziano gli stili personali e li collocano in una dimensione condivisa.

Esse promuovono la consapevolezza del sé corporeo, intensificano l’autopercezione favorendo l’investimento emotivo, accarezzano la dimensione narcisistica creando o consolidando nel contempo il "rapport", introducono nella relazione suggestioni primarie, evocano le dinamiche della prima infanzia e inducono un transfert diadico.

La valenza empatica dell’intervento è, forse, quella che meglio ne traduce la dimensione clinica; essa è fondamentale in ogni momento del lavoro in quanto ne costituisce la base per lo sviluppo di una analoga disposizione tra i membri del gruppo.

Interventi o proposte ad alta valenza empatica sono fondamentali nella fase iniziale e in quella centrale di qualunque trattamento specie con soggetti psicotici e/o artistici nei quali la dimensione simbiotica è assai pronunciata e l’esperienza, quale senso di identità e di relazione, si svolge prevalentemente a livello sensomotorio.

Proposte a pronunciata valenza esplorativa si rivolgono, invece, alla sconfinata area delle possibilità motorie e posturali non abituali; proposte esplorative conducono sempre consegne che favoriscono l’investimento personale e l’interiorizzazione dell’azione, facendo si che esse possano divenire esperienza.

Le proposte a marcata valenza esplorativa dilatano le possibilità espressive e la sfera dell’autopercezione, promuovono la dinamizzazione e la differenziazione dell’immagine corporea, favoriscono il risveglio di memorie corporee, il manifestarsi di fenomeni tansferali somatici, un’intensa attività immaginativa visuo-cinestesica di grande portata emozionale.

La dimensione esplorativa dell’intervento è forse quella che meglio traduce la dimensione di cambiamento dovuta alla terapia.

Nessuna pratica di danzamovimentoterapia può trascurare la dimensione esplorativa ove bisogna definire le consegne che devono tradurla, gli utenti ed i momenti del percorso tanto da definire la teoria della prassi da una parte e l’arte e l’intuizione dall’altra.

Consegne a valenza pedagogica hanno anch’esse un intento intimamente esplorativo-integrativo; tuttavia, a fronte di specifici obiettivi psicomotori e/o in presenza di gravi distorsioni dell’immagine corporea ovvero di marcata inibizione, sensibile rallentamento e carenza dell’iniziativa psicomotoria, esse permettono di attivare il processo a partire dai comportamenti o dagli schemi motori bersaglio attraverso proposte dirette da parte del conduttore, schemi offerti come veri e propri modelli da imitare e farli propri.

Dai semplici e ginnici riscaldamenti strutturati, a suggestive e complesse proposte ritmiche e coreografiche, tecniche a forte valenza pedagogica, se penalizzano l’inventiva, presentano però il grande vantaggio di attualizzare in tempi assai brevi possibilità motorie fisiologiche e altamente significative, in un clima protetto, spesso ludico e tranquillizzante, che favorisce l’esperienza del piacere funzionale e fa da base sicura per il risveglio psicosomatico e la pre-integrazione corporea.

Nel setting di danzamovimentoterapia le proposte pedagogiche sono assai utili per incrementare l’autopercezione, la riorganizzazione chinesiologica e le risorse da investire nel gioco espressivo.

Gli interventi pedagogici svolgono, inoltre, una fondamentale funzione di contenimento e consolidamento e contribuiscono a radicare il senso di sicurezza dell’esperienza sul terreno stesso della struttura corporea.

Occorre che le proposte pedagogiche del conduttore siano basate, oltre che su protocolli consolidati e non improvvisati, sull’osservazione empatica del movimento abituale dei membri del gruppo.

Tali interventi possono trovare applicazione nella parte iniziale dell’incontro, specie in esperienze intensive e/o a termine, in cui è necessario attivare in tempi contenuti le risorse corporee, a volte nella parte centrale della seduta, specie con utenti più o meno gravemente destrutturati, tutto ciò all’interno di una cornice ritmica sia nei primi incontri di un gruppo sia nella conclusione dell’incontro.

Le proposte a prevalente valenza integrativa presentano la caratteristica di articolare nella continuità, nell’alternanza ritmica, movimenti tra loro diversi per qualità cinetiche, spaziali, temporali alcuni dei quali, pur esplorati, sono ancora vissuti come estranei rispetto all’identità psicomotoria.

Sono proposte connotate dalla polarizzazione, dal dialogo degli opposti, dalla ripetizione, dalla trasformazione dei movimenti; l’amplificazione del movimento nella voce e la coordinazione vocale svolgono un’azione integrativa come può averla anche la verbalizzazione; è il lavoro integrativo che in danzamovimentoterapia facilita il superamento di un senso corazzato.

Le consegne a valenza integrativa sono le più importanti la cui funzione ultima è proprio l’integrazione psicosomatica.

Le nuove possibilità espressive esplorate, investite di portati emozionali, giocate nel campo relazionale mediante la valenza integrativa sono assimilate all’identità psicomotoria; inoltre, attraverso la valenze integrative la danzamovimentoterapia perviene alla produzione, all’estrinsecazione e all’appropriazione del movimento creativo come fattore di crescita e di profondo cambiamento trasformativo.

Le proposte che maggiormente se ne fanno carico inducono una continua oscillazione tra stati emotivi primari e il senso di sé adulto, tra processo primario e secondario, trance e consapevolezza, tra il risveglio narcisistico e la dimensione relazionale della matrice di gruppo.

La valenza integrativa dell’intervento è quella più direttamente connessa alla funzione evolutiva della terapia; interventi a prevalente valenza integrativa sono fondamentali lungo tutto il processo di cui rappresentano il filo conduttore.

Tuttavia l’esperienza non può fare a meno di un’adeguata produzione di materiale espressivo, abitualmente indotta da tecniche esplorative, deve essere talvolta sostenuta dagli opportuni interventi pedagogici e tutto il processo deve svolgersi in una dimensione empatica.

Quindi obiettivo della danzamovimentoterapia non è "educare", non è "accarezzare" ma sono questi tutti movimenti e strumenti di una relazione orientata alla crescita e all’integrazione: è una forma di educazione corporea, emotiva, relazionale che, attraverso un processo educativo e terapeutico conduce, chi la pratica, ad una progressiva assunzione di responsabilità della propria esperienza corporeo-emotiva.

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Specialisti disturbi dell'apprendimento Vimodrone (Mi)

 

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