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Bambini 0-3 anni: il ruolo del corpo e del movimento nei servizi per la prima infanzia. L’esperienza di Lòczy.

di Claudia Turzo

Introduzione

Ogni bambino che nasce si avvia nel proprio autonomo percorso di crescita con un movimento del corpo continuo e costante realizzando, fin dai primi mesi, sempre nuove possibilità motorie e capacità relazionali.

Il bambino nel processo di sviluppo della sua motricità non impara solo a girarsi sulla pancia, a rotolarsi, a strisciare, a sedersi, ad alzarsi ed a camminare ma impara anche ad "imparare".

Impara ad esercitare autonomamente un’attività qualsiasi, a provare interesse, a tentare di sperimentare esperienze ed emozioni nuove; impara anche a conoscere le sensazioni del proprio corpo scoprendo se stesso ed il corpo degli altri.

L’obiettivo principale di questo lavoro è stato quello di individuare sia la relazione tra lo sviluppo psicologico del bambino e la sua costante attività di movimento considerata una risorsa preziosa di apprendimento, sia l’influenza che un ambiente può esercitare nei processi di crescita, in particolare all’interno dei servizi per la prima infanzia.

Questa ricerca ha voluto considerare, in un primo tempo, il ruolo svolto dal corpo in movimento nei primi anni della vita di un bambino in relazione anche alle diverse situazioni ambientali che lo accolgono; successivamente, ma non ultima in ordine di importanza, viene raccontata la realizzazione del progetto pedagogico ungherese del centro per l’infanzia di via Lòczy a Budapest, fondato dalla pediatra-pedagogista Emmi Pikler, che da oltre cinquant’anni concentra la propria attenzione sul diritto dei bambini a muoversi in modo attivo ed autonomo.

Questa scuola pedagogica ha studiato per lungo tempo le capacità motorie dei bambini valutando con interesse la peculiarità dei loro percorsi di sviluppo e valorizzando la centralità del movimento e del corpo riconosciuto nei suoi bisogni più originali.

Sono stati analizzati, inoltre, i movimenti ed i gesti dei bambini intesi come primi mediatori di interazione sociale considerando il significato dell’agire infantile all’interno di un contesto specifico qual è quello dell’asilo nido unito ad una disamina delle più importanti scuole educative del nostro secolo che, in una prospettiva evolutiva, si sono interessate dell’attività motoria infantile.

Successivamente, ci si è proposti di verificare quanto possa incidere un contesto ambientale sullo sviluppo del bambino, ma anche come l’influenza della sua presenza possa modificare la natura delle relazioni e delle esperienze che avvengono al suo interno, alla luce di una prospettiva ecologica che valuta le nuove sensibilità progettuali e la qualità dei "microsistemi" educativi predisposti dagli adulti.

Ci si è, inoltre, interrogati sulla funzione che deve svolgere l’adulto nel momento in cui si trova ad interagire con il mondo dell’infanzia e soprattutto si è cercato di verificare se un bambino a cui è riservata la possibilità di muoversi autonomamente in un ambiente a lui favorevole, circondato da persone che rispettano i suoi tempi ed i suoi gesti, potrà maturare un positivo percorso di crescita che gli riservi, per l’avvenire, un’esistenza serena ed un buon equilibrio psicologico.

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La conquista dell’autonomia e della propria identità

L’intento di questa ricerca è stato quello di presentare una riflessione sulle condizioni sociali ed ambientali che i servizi riservati alla prima infanzia propongono ai loro fruitori, alla luce dei nuovi orientamenti psico-pedagogici attenti a salvaguardare una crescita sana ed equilibrata nel bambino, valorizzando la comunicazione corporea ed il ritmo naturale dei suoi movimenti.

Le particolari tipologie di questi servizi si presentano oggi non solo come luoghi sicuri e ricchi di stimoli ma richiamano la nostra attenzione su un’organizzazione globale che riflette un atteggiamento culturale diverso dal passato, privo di ogni pregiudizio ideologico e rinnovato nei suoi contenuti più importanti.

Chi si occupa oggi di educazione non può non tenere conto di una modalità di comunicazione ineludibile e primaria, per lo più inconscia, che è, appunto, la comunicazione corporea del bambino.

Si tratta di una forma di comunicazione arcaica che si esprime attraverso una modalità di tipo analogico, non razionale e per questo motivo più intensa e genuina: la mimica, la postura, il tono muscolare, la gestualità ed i vocalizzi dei bambini, uniti all’uso dello spazio e del tempo che hanno a disposizione, attraverso l’osservazione del loro modo di usare gli oggetti e di giocare ci raccontano le loro sensazioni, il loro bisogno di autonomia o di protezione, le paure ed i desideri.

Un corpo che si muove rappresenta infatti il veicolo primario di comunicazione con l’altro da sé ed è in presa diretta con il vissuto emozionale dei bambini.

Questa premessa può far riflettere su quale debba essere lo stile relazionale di coloro che si occupano di educazione nella prima infanzia: uno stile attento a cogliere i messaggi del bambino che con l’alfabeto del suo corpo parla e informa l’adulto non soltanto di ciò che sa, ma soprattutto di ciò che sente.

Se c’è un corpo che dice, occorre che ce ne sia anche uno che ascolti, che sappia far posto dentro di sé all’ascolto di questo principale canale comunicativo, che sappia cioè assumere la comunicazione corporea come un messaggio educativo professionale che, superando i confini della pratica quotidiana, coinvolga in una dimensione completa anche i genitori e le più importanti figure di riferimento del bambino.

In questo modo, in alcuni servizi per l’infanzia — tra cui soprattutto nidi, "Tempo per le famiglie" e centri di terapia psicomotoria — si è venuto a legittimare un ruolo attivo delle famiglie, che in molte occasioni rappresentano importanti risorse di competenze, di esperienze e di tradizioni indispensabili per sostenere un valido progetto educativo.

Il contributo che i genitori adulti apportano nei nidi, ad esempio, è un sapere spontaneo, costituito dall’intensità dei loro affetti e delle loro dinamiche di attaccamento; ma si tratta anche di un sapere complementare a quello di tipo professionale che un servizio educativo deve attivare nel momento in cui svolge la funzione di comprensione e di contenimento del livello emozionale che si instaura tra il bambino ed i suoi familiari.

In questo modo, non solo si fa educazione insieme ma vengono attuati validi processi di relazione, di dialogo e di prevenzione rispetto a quelle difficoltà educative che possono sorgere collaborando nella cura dei figli.

Nella dinamica educativa, infatti, non esiste "il bambino" isolato dal contesto in cui cresce, così come non esistono "i genitori" o "le educatrici" separatamente; esiste invece una coppia di genitori che interagiscono con un bambino che si muove all’interno di un gruppo di coetanei e di educatrici che sono, a loro volta, in relazione con la famiglia.

Un nido ed una famiglia sono solo apparentemente due universi educativi indipendenti: ambedue elaborano progetti ed obiettivi che si intersecano e si intrecciano nel vivere quotidiano.

L’attenzione al ruolo della famiglia e dell’adulto durante i primi anni di vita di un bambino rappresenta un momento di riflessione anche per l’attività di ricerca del centro di Lòczy, in una prospettiva pedagogica che considera la dimensione corporea e quella psichica senza soluzione di continuità.

L’équipe di specialisti della scuola sono da sempre impegnati a valorizzare il setting della formazione professionale, dove gli operatori acquisiscono specifiche competenze che mettono a profitto durante i colloqui con le famiglie nei servizi della prima infanzia e nei centri di terapia psicomotoria di molti paesi europei e sudamericani.

Il loro orientamento propone un modo di pensare il bambino come soggetto attivo e protagonista di scambi e di relazioni in un ambiente che è stato precedentemente pensato da un adulto.

In particolare, il metodo di Emmi Pikler tiene conto di due condizioni fondamentali su cui si basa l’intervento dell’adulto all’interno di un progetto pedagogico volto a realizzare una condizione di benessere e di equilibrio nello sviluppo del bambino.

  1. Favorire una condizione di fiducia nei confronti dell’adulto.
  2. Affinché il bambino si sviluppi in modo autonomo e abbia fiducia in se stesso e nelle proprie risorse, occorre che dapprima si instauri un clima di sicurezza affettiva con la sua principale figura di riferimento.

    Per favorire questa fondamentale dimensione esistenziale, il bambino non deve essere posto in una costante condizione di dipendenza da chi, confondendo la sua immaturità neuro-vegetativa con uno stato di debolezza ed inferiorità, si dispone nei suoi confronti con un eccessivo atteggiamento protettivo dagli eventi esterni.

    Si può constatare che una simile predisposizione, seppur motivata da benevole intenzioni, rivela nei fatti una contraddizione di fondo che si manifesta ogni qual volta il piccolo viene collocato, dallo stesso adulto che si prende cura di lui, in posizioni che non gli sono consone per età e che richiedono un investimento funzionale inadeguato.

    Si assiste spesso a incitamenti nel camminare, nel partecipare ad un gioco o nel sollecitare delle competenze che non gli sono proprie, attivando una serie di iperstimolazioni oggettuali che il suo sviluppo non è in grado di elaborare.

    Anche quando a pochi mesi lo si invita a prendere un gioco, lo si costringe ad integrare sistemi di coordinazione molto complessi come la percezione visiva e l’orientamento nello spazio uniti alla prensione dell’oggetto stesso.

    Si assiste nei fatti ad un’operazione nel suo insieme molto articolata che il piccolo non è in grado di sostenere, interrompendo a volte anche una importante attività di conoscenza, passata del tutto inosservata. In tutti questi casi, si pone il bambino in una posizione squalificante e di disorientamento psicologico poiché da un lato egli riceve dei chiari segnali di un contenimento protettivo, dall’altro viene chiamato a rispondere a delle richieste che non è in grado di soddisfare.

    Si trova, in questo modo, nella condizione di dover disattendere le aspettative dell’adulto vivendo contemporaneamente un’esperienza di frustrazione: se da un lato l’adulto gli trasmette fiducia, dall’altro lo sottopone a sollecitazioni improprie in una condizione di equilibrio precario.

     

  3. Favorire situazioni che consentono uno sviluppo autonomo del bambino.

Interrogarsi su quale debba essere il ruolo della famiglia, degli adulti e dei professionisti che, sotto vari profili, si occupano della prima infanzia, comporta la capacità di mettere in discussione le precedenti esperienze educative che consideravano il bambino un soggetto immaturo totalmente dipendente da chi si prendeva cura di lui.

Quello che ne segue è la necessità di incoraggiare il movimento libero del suo corpo e l’agire autonomo, a suo piacimento, al fine di fare le proprie scoperte, variare ed ampliare creativamente quelle conoscenze che partono dal suo vissuto e rispondono di più ai suoi reali bisogni.

L’intervento dell’adulto, secondo la pedagogia di Lòczy, può risultare determinante non tanto per promuovere interventi educativi basati sulla stimolazione precoce, quanto nella predisposizione di un contesto ambientale rispondente ad un preciso ideale educativo.

Questi due principi fondamentali si traducono nei fatti in un paradigma comportamentale che si esprime attraverso una concezione olistica dell’intervento educativo.

E’ consigliabile, infatti, considerare in una visione d’insieme le componenti genetiche, culturali, relazionali e affettive che caratterizzano la comprensione di ogni singolo bambino.

Questo approccio pedagogico tiene conto, sostanzialmente, di cinque organizzatori funzionali che sono interdipendenti ed in relazione dialettica con la centralità dello sviluppo autonomo del bambino.

Il primo organizzatore si riferisce all’ordine simbolico, inteso come la rappresentazione mentale che ognuno di noi ha delle strutture sociali in cui vive, ma anche dei valori e della incidenza che hanno i simboli culturali all’interno dei gruppi sociali e delle famiglie d’origine.

Lavorare con i bambini significa partire dal presupposto che ogni singolo bambino rappresenta un patrimonio di valori e di tradizioni che possono anche essere diversi dai nostri.

L’ordine simbolico gioca, quindi, un ruolo importante nella rappresentazione di sé ed è opportuno che un adulto consapevole tenga conto delle caratterizzazioni socio-culturali della realtà in cui vive il bambino.

Il secondo organizzatore considera l’attaccamento alla relazione inteso come il primo momento in cui il rapporto adulto/bambino viene consolidato attraverso il contatto con il corpo della figura di riferimento. La "fisicità" all’interno della diade è determinata e sublimata anche attraverso una codificazione di segnali impliciti in grado di attivare uno stato di tranquillità emotiva: l’intensità di uno sguardo, il significato di un gesto o l’intonazione della voce hanno, in questo modo, una funzione di sostegno e di contenimento psicologico per il piccolo.

L’attaccamento alla relazione provvede a soddisfare i bisogni e le necessità più immediate del bambino esercitando, nel contempo, una funzione di neutralizzazione dell’ansia scaturita dalle tensioni interne.

La dinamica dell’attaccamento presenta così due funzioni diverse ma complementari: la soddisfazione dei bisogni del bambino e l’abbassamento del livello d’ansia conseguente ad un disagio.

Secondo la pedagogia di Emmi Pikler ed il pensiero di Henry Wallon - il cui progetto educativo aderisce pienamente ai principi cardini di una pedagogia attiva e orientata a cogliere le competenze e le capacità dei bambini fin dai primi giorni di vita -, ogni bambino è spinto dal desiderio di conoscere il mondo e di fare esperienze nuove. Questa curiosità, tuttavia, può riservare, in alcuni casi, anche uno stato d’animo di terrore e di ansia verso ciò che non si conosce.

L’adulto deve, di conseguenza, attivarsi per impedire che sorgano delle circostanze responsabili di uno stato emotivo ansioso e che possono causare un eccitamento del tono muscolare nel bambino piccolo.

Se un bambino ad esempio sta piangendo e si avvicina alla propria madre instaurando una relazione di attaccamento "sufficientemente buona", toccando il suo viso ed il suo corpo, è in grado dopo breve tempo di superare la crisi emotiva e di riconciliarsi con la realtà.

Il concetto di attaccamento alla relazione implica, infine, un livello di distanza con l’adulto di riferimento che è direttamente proporzionale all’età del bambino: quando questi è molto piccolo la distanza dalla madre è breve, mentre un bambino più grande si può gradualmente allontanare mantenendo uno sguardo costante su di lei.

Il terzo organizzatore riguarda l’esplorazione, magico momento conoscitivo che si realizza per la prima volta intorno ai due mesi di vita, quando il bambino scorge la propria mano sopra la sua testa.

Scoprire una mano che si muove rappresenta un evento di grande portata, che lo coinvolge in una grande attività di conoscenza di se stesso, impegnandolo anche per giorni.

Questo importante percorso richiede tempo, per cui il bambino non deve subire interruzioni brusche.

Il quarto organizzatore si riferisce, invece, alla comunicazione.

La prima forma di comunicazione interumana non è di carattere verbale ma è costituita da uno scambio di messaggi e di segnali impliciti: la gratificazione ed il piacere di un contatto con il corpo dell’altro favoriscono le condizioni ideali per un naturale sviluppo del linguaggio.

Se il dialogo corporeo non è costantemente sostenuto dall’adulto, il bambino piccolo non riuscirà a comprendere appieno i segnali che gli provengono dall’esterno ed il passaggio dalla comunicazione gestuale a quella verbale verrà ritardata.

Poiché il rapporto del bambino con il mondo è mediato in gran parte dalle persone che si prendono cura di lui, se la comunicazione corporea non risponde in modo adeguato al suo bisogno di relazione, la competenza linguistica, che costituisce un aspetto della più ampia e più complessa competenza comunicativa, ne risulterà danneggiata o rallentata in misura più o meno grave.

Molti disturbi infantili legati al linguaggio hanno, infatti, la loro origine nella fase pre-linguistica a causa di una mancata o scarsa comunicazione corporea con la figura di riferimento.

Un bambino di tre mesi, se ben sostenuto nella crescita, può esprimere con il proprio volto una sorprendente varietà di espressioni; a otto mesi il suo linguaggio corporeo è altamente raffinato ed in grado di sostenere un dialogo gestuale.

L’ultimo organizzatore funzionale, il quinto, si riferisce ad una costante del pensiero di Wallon: l’equilibrio.

Il controllo del proprio corpo si costituisce geneticamente con la maturazione delle funzioni neuro-fisiologiche dell’organismo e l’intero sviluppo dell’individuo non sarebbe altro se non il risultato di un progressivo equilibrarsi, un continuo passaggio da uno stato di minor equilibrio ad uno stato di equilibrio superiore.

I bambini di pochi mesi che ancora non sono in grado di reggere da soli la propria testa, debbono essere presi in braccio in modo adeguato ed il loro capo deve essere sostenuto da una mano adulta. Un gesto distratto e poco attento da parte del genitore può attivare la reazione al riflesso di Moro con tutte le sue spiacevoli implicazioni.

E’ importante che l’adulto sostenga adeguatamente il bambino piccolo affinché questi mantenga una sensazione di sicurezza con il proprio corpo contenendo l’eccitamento e le contrazioni muscolari.

Una condizione di equilibrio è molto importante e la sua perdita improvvisa suscita una sensazione di sgomento pari a quella che si prova cadendo nel vuoto, stato psichico dalle origini arcaiche.

Wallon sostenne, infatti, la necessità per un bambino di potersi muovere liberamente senza dover lottare contro la forza di gravità.

Nelle fasi successive di crescita, quando si sentirà più sicuro potrà sperimentare anche situazioni di perdita di equilibrio, mettendo alla prova se stesso per conoscere i propri limiti.

Per concludere questa riflessione, occorre tenere ben presente il paradigma olistico della pedagogia di Emmi Pikler e del pensiero di Wallon, paradigma che può essere rappresentato graficamente da una stella ai cui vertici si collocano i cinque assi dell’organizzazione dello sviluppo funzionale infantile, valutati nella loro interdipendenza ed in relazione alla centralità del bambino.

Ordine simbolico

Equilibrio Attaccamento B = Bambino

Comunicazione Esplorazione

Wallon suggerì, infatti, che un educatore debba aspirare ad un intervento educativo che tenga conto del sistema funzionale nella sua globalità.

Se un adulto, ad esempio, insiste troppo nel voler anticipare lo sviluppo di una determinata funzione, questo atteggiamento avrà conseguenze nell’integrazione di altre funzioni.

Una stimolazione eccessiva della funzione motoria potrà ad esempio portare il bambino a raggiungere dei buoni risultati in termini di stabilità posturale, ma a scapito della socializzazione o della sfera cognitiva, attività che, seppur correlate, non evolvono in modo parallelo allo sviluppo motorio.

Per un bambino camminare significa mettersi in relazione con il mondo e non soltanto mettere una gamba davanti all’altra.

Anche quando questi sta compiendo un’attività di esplorazione, bisogna tenere presente che contemporaneamente entrano in gioco dinamiche di attaccamento.

L’esplorazione e l’attaccamento sono organizzatori funzionali complementari ma di valore contrario: nel momento in cui aumenta l’esplorazione, diminuisce l’attaccamento e viceversa.

Ragionare con le famiglie e con gli adulti in merito alla interdipendenza degli organizzatori funzionali è un aspetto che un operatore dei servizi per l’infanzia deve tenere costantemente presente anche in relazione alle componenti emotive proprie di un legame affettivo che spesso impediscono una comprensione chiara della realtà.

Una strategia efficace potrebbe essere non tanto quella di mostrare ai genitori i progressi e le prodezze del proprio bambino, quanto quella di insegnare loro a saper valutare la qualità di un suo piccolo gesto, a cui una attenta considerazione può attribuire significati di grande valore.

La ricerca di stabilire una sintonia fra una competenza professionale che tenga presente i cambiamenti sociali ed i bisogni del bambino in una visione d’insieme scongiurando nel contempo l’intervento di un insegnamento rigido e formalizzato, caratterizza il progetto educativo ungherese nella convinzione che preservare una crescita autonoma ed equilibrata favorisca l’acquisizione di ottime capacità di apprendimento di iniziativa nel bambino.

Tuttavia, l’esperienza di Lòczy seppur di carattere interattivo-costruttivista poiché concentrata su di un bambino autosufficiente che possiede in sé le ragioni del suo sviluppo, sembra mettere in discussione la funzione di sostegno e di stimolo che l’adulto deve assumere nella interazione con il bambino.

Secondo la tradizione pedagogica di Lòczy l’educatore, lungi dallo svolgere un’attività tutoria nei confronti del bambino interpretando e dirigendo le sue competenze attraverso la messa in atto di progetti educativi fortemente strutturati, deve prevedere un atteggiamento che si esprime a "distanza", intervenendo in modo diretto soltanto in particolari momenti della giornata, riservati alle cure corporali.

Non sembra, qui, conveniente esprimere un giudizio di valore, valutando in un modo alquanto sbrigativo se una teoria pedagogica risulti più efficace di un’altra o possa essere assunta come modello educativo.

Piuttosto risulta importante considerare ed apprezzare nella loro interezza i contenuti e la storia di ogni sistema pedagogico, poiché si tratta di una storia fatta di persone, di bambini e di relazioni uniche e straordinarie che rendono ogni esperienza preziosa e irripetibile.

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