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L’APPROCCIO COMICO UMORISTICO IN PEDAGOGIA

Di Giuseppe Ciccomascolo - pedagogista clinico - Milano

Dal momento in cui ho
preso in mano il libro,
fino a quando l’ho
rimesso a posto, non
ho smesso di ridere
per un solo momento.
Un giorno ho
intenzione di leggerlo.
Groucho Marx

 

Ridere è uno strumento fondamentale per le relazioni umane migliora il benessere individuale e di gruppo.
In ambito sociale/pedagogico si ride ancora troppo poco, come se la risata fosse sinonimo di superficialità; ma per un educatore, pedagogista clinico, docente, usare umorismo e la creatività non significa dover ridere di più o far ridere chi si incontra ma piuttosto essere coscienti della possibilità di utilizzare uno strumento di grande valenza educativa e relazionale.
L’umorismo e la creatività possiedono infatti la capacità di aprire prospettive inedite nelle situazioni di lavoro, mostrandone lati sconosciuti e non ancora esplorati. Permettono di ammorbidire momenti carichi di tensione, di ricontestualizzare i vissuti, di allargare lo spazio dell’ascolto. In quest’articolo cercherò di ampliare una riflessione su come un approccio che tenga in considerazione umorismo e comicità possa migliorare e arricchire il lavoro pedagogico di tutti i giorni.
E’ importante intanto praticare l’umorismo avendo un’attenzione «speciale» alle reazioni dei nostri interlocutori; questo è un aspetto fondamentale di cui tener conto, perché l’umorismo a differenza del sarcasmo e dell’ironia, è caratterizzato da una leggerezza che non fa male, ma che si propone di mostrare una situazione sotto una luce nuova. L’umorismo è capace di unire le persone, il sarcasmo invece rischia di dividerle.
Umorismo e creatività sono aspetti molto importanti della medesima medaglia, entrambi mostrano, di un’idea, un lato inedito e non ancora esplorato. In questo senso queste due componenti si prefiggono di generare nuove idee e significati laddove non sembra di scorgerne, moltiplicando così il ventaglio delle possibilità.
Gli umoristi ci raccontano la realtà attraverso piacevoli «spiazzamenti comunicativi». L’umorismo in fondo è proprio questo ovvero la “capacità di saper trovare il ridicolo nelle cose” è quindi una capacità molto raffinata. Però in ambito pedagogico è interessante capire se il riso può favorire l’apprendimento. Per farlo occorre inizialmente valorizzare l’intelligenza umoristica.
Dalla teoria del quoziente di intelligenza classico che sta vivendo un periodo di crisi ( fortunatamente aggiungo!) negli anni si sono sviluppati via via diversi tesi che hanno avuto diverso successo. Tra questi vi sono sicuramente le ricerche di Howard Gardner che ha lanciato la teoria delle intelligenze multiple. Partendo da qui può essere importante valorizzare il concetto di intelligenza umoristica. Per sviluppare questa intelligenza è necessario : l’ascolto, l’osservazione, la comunicazione , la contestualizzazione ,l’intuizione, la memoria , l’empatia, la creatività e l’espressività.
Quindi ridere può essere inteso come un buon indicatore di intelligenza perché manifesta la capacità di saper cogliere i lati nascosti dei fenomeni, intuendo e connettendo le informazioni, sapendo quindi “rileggere” la realtà. Ne consegue che anche far ridere diventa un effervescente esercizio di intelligenza poiché comporta non solo l’aver costruito un racconto che genera riso ma il saperlo contestualizzare rispetto al luogo ai partecipanti, saper cogliere il tempo giusto.
E’ quindi un atto fortemente creativo che ricerca sempre l’innovazione e propone sempre lo spiazzamento e la sorpresa come risorse che destano attenzione perché aprono nuove prospettive. E’ dunque importante valorizzare l’improvvisazione creativa della quotidianità, quella capacità di saper ricercare occasioni umoristiche nell’altro e nella relazione con lui nei contesti che si vivono quotidianamente. Pertanto partendo dal divertimento e dall’umorismo, si possono risvegliare capacità sopite , scoprire doti nascoste e destare interessi inaspettati. La funzione del ridere è quella di liberare dalle inibizioni, sgombrare la mente dal pensiero lineare promuovendo un pensiero che favorisca il problem solving trovando di conseguenza nuove strade percorribili. Inoltre ridere insieme favorisce un clima di non giudizio.
A questo punto è doveroso chiedersi: ridere può anche favorire l’apprendimento?
In merito le scienze psicologiche e biologiche stanno cercando ancora una risposta, è sicuramente indubbio che ridere può contribuire a creare un buon clima, che ridere tiene desta l’attenzione e che nella fase dell’infanzia ciò predisponga in modo specifico ad un miglior apprendimento. E’ stato accertato che l’ansia disturba l’apprendimento e la ritenzione della memoria, mentre un docente sagace sa creare un clima favorevole a stimolare l’intelligenza dei ragazzi solo se sa dosare l’umorismo con perspicacia, capire quindi qual è la scelta più adeguata a favorire la concentrazione e la tensione migliore per la sua classe. In questo caso può usare l’umorismo come strumento per allentare la tensione eccessiva che finisce per produrre forte stress, evitando quindi di utilizzare il ridere a sproposito favorendo il caos. A questo punto si può sicuramente affermare che ridere può essere un facilitatore dell’apprendimento quando la situazione lo richiede.
Quindi perché non provare a sviluppare un approccio pedagogico Comico Umoristico nelle relazioni di aiuto o cliniche. Intanto essendo un approccio e non un metodo implica che non ci siano delle metodologie standardizzate da utilizzare, ma che ciascuno, lavorando su di se possa trovare le proprie strategie umoristiche efficaci per lavorare nella relazione/incontro con l’altro.
Dal punto di vista pedagogico, l’ Approccio Pedagogico Comico Umoristico rappresenta in primis la capacità di saper uscire dagli schemi e dalle consuete letture della realtà giocando con il senso del ridicolo di cui è permeata la quotidianità.
Sicuramente, uno dei fattori che favoriscono la risata è quello della sorpresa e dello spiazzamento, pertanto per ridere, imparare a ridere ed educare ridendo è necessario perdere le rigidità, saper accogliere l’imprevisto osservando le cose da diversi punti di vista , sapendo cogliere il positivo anche nelle situazioni di difficoltà.
E’ chiaro che essendo un approccio che ciascun pedagogista/educatore/insegnante può sviluppare è importante incrementare queste specificità:
• Allenare la Creatività
• Sperimentarsi nello spiazzamento positivo dell’altro
• Potenziare l’ascolto empatico
• Saper Trovare il senso del ridicolo nelle cose di tutti i giorni
• Coltivare la propria autoironia
Provo ad entrare nel dettaglio per ogni punto

Allenare la creatività
Possedere una buona funzionalità mentale e una discreta intelligenza sono precondizioni necessarie per il lavoro creativo, ma non coincidono esattamente con l’essere creativi.
Per migliorare la creatività conviene comunque lavorare sulle facoltà cognitive ma, soprattutto, su quelle euristiche: in sostanza, sui modi (più o meno automatici, più o meno originali) in cui osserviamo e analizziamo le cose e ci mettiamo in relazione con il mondo.
Secondo un articolo di Psychology Today il potenziale creativo sembra dipendere per non più del 10 per cento dalla componente genetica individuale. I tratti di personalità (per esempio l’apertura all’esperienza) sono invece importanti.
Quindi, la capacità creativa aumenta grazie ad un atteggiamento mentale aperto, fatto di curiosità, sensibilità estetica, reattività al cambiamento, rifiuto dell’autoritarismo e del pregiudizio.
Ma la creatività, in qualsiasi campo, non può prescindere dalla competenza e, quindi, chiede esercizio costante e anche qualcosa di più: una pratica deliberata e intensiva.
Insomma, bisogna esporsi a stimoli nuovi, eterogenei e sfidanti, essendo disposti ad accoglierli e a elaborarli.
E certo, si può anche decidere di modificare le proprie abitudini cominciando a lavarsi i denti con la mano sinistra (o con la destra se si è mancini), perché darsi un vincolo di qualsiasi tipo incoraggia sempre e comunque la ricerca di nuove strategie.
Leonardo Da Vinci è l’esempio più famoso di creativo a tutto tondo: ha realizzato capolavori di ingegno e maestria in innumerevoli campi.
Musicisti, pittori, scrittori fanno della creatività un lavoro e sono creativi per contratto pure i pubblicitari. Ma creativa è anche la massaia che deve reinventarsi una ricetta perché le manca un ingrediente, o l’elettricista che trova una soluzione diversa dal consueto per far funzionare un impianto. Il pensiero creativo, insomma, sembra poter essere ovunque.
Ma quindi che cos’è davvero la creatività? La possiedono realmente tutti, o è un dono di pochi talentuosi? È legata a doppio filo con l’intelligenza?
Stando, ai risultati di una ricerca proposta dall'American Psychological Association condotta su 300mila persone sottoposte a uno dei test per misurare la creatività, dal 1990 in poi c’è stato un chiaro declino dei punteggi, mentre gli analoghi test sull’intelligenza indicano una continua crescita del quoziente intellettivo; da questo si è dedotto che : un ambiente molto ricco di stimoli come quello attuale potrebbe renderci più intelligenti, “addormentando” però l’inventiva, specie nei bambini, che invece, di solito, sono i migliori nei test di creatività. Secondo i ricercatori, ciò accade perché interagiamo in modi sempre più impersonali, perdendo “segnali” comunicativi che arrivano dal contatto diretto e aiutano a sviluppare una personalità estrosa.
Pertanto per favorire la creatività è fondamentale l’incontro con l’altro perché come dice Andersen “ la creatività è in ognuno di noi”

Sperimentarsi nello spiazzamento positivo dell’altro.
Il valore dello spiazzamento è sicuramente quello di riuscire a stupire l’altro, favorendone così un coinvolgimento attivo che ci permetta di tenerne viva l’attenzione e la partecipazione nella relazione educativa.
Spiazzare inoltre può favorire la possibilità di osservare con occhi diversi una situazione apparentemente statica, favorendo, soprattutto nelle circostanze di maggiore conflittualità, soluzioni nuove.
Per saper spiazzare occorre allenare il pensiero divergente, riuscire a spostare continuamente il proprio punto di vista per aprire orizzonti nuovi e magari inesplorati.
Ai bambini piace sentirsi spiazzati in positivo, li aiuta a viversi nella relazione con l’adulto in modo differente scoprendosi diversi con caratteristiche sempre dinamicamente nuove.

Potenziare l’Ascolto empatico
L’empatia è la capacità di comprendere il mondo interiore altrui evitando i giudizi grazie alla comprensione e all’ascolto attivo
La comunicazione empatica non è solo una delle componenti principali della relazione d’aiuto, ma si tratta uno strumento prezioso in qualunque ambiente di lavoro e nella sfera sociale.
Il termine empatia deriva dal greco e fa riferimento alla capacità di vedere il mondo attraverso gli occhi di un’altra persona.
Chi è empatico riesce a comprendere il mondo interiore di un altro (affetti, pensieri, emozioni, ecc) senza però farli propri.
La comunicazione empatica è un’attitudine che si possiede (quando si è fortunati) o si può acquisire grazie a percorsi formativi. Ciò che si apprende è il modo di aprirsi un varco verso il prossimo evitando gli errori che chiudono la comunicazione. Gli elementi chiave della comunicazione empatica sono la comprensione e l’ascolto attivo.
Quando si comunica con un’altra persona ci sono due vie principali attraverso le quali cercare di comprendere quanto ci sta raccontando. La prima forma è la comprensione intellettuale, tipica di chi vuole comprendere i fatti. Chi ascolta è quindi concentrato sui fatti accaduti e su come si siano avvicendati. Il focus è sul cosa l’altro sta raccontando. La seconda è la comprensione empatica che invece è centrata sul come il nostro interlocutore stia raccontando.
Il focus è quindi sulle sfumature emotive che colorano la narrazione è che forniscono informazioni sullo stato d’animo del narratore. Spesso ci si sente compresi solo quando chi ci ascolta comprende quello che stiamo vivendo e non come si sia svolta la vicenda.
Per poter utilizzare l’Approccio Pedagogico Comico Umoristico occorre fare in modo che l’altro si apra e ci dia l’opportunità di comprenderlo dando dimostrazione di saper ascoltare.
Avere dunque un comportamento proattivo attraverso cui provare di essere in grado di comprendere l’altro.
Che fare allora per favorire l’ascolto empatico?
Se lo scopo è quello di comprendere l’altro innanzitutto bisogna partire dal presupposto che non è detto che si riesca a comprendere tutto e subito.
È utile chiedere chiarimenti, ad esempio parafrasando quanto è stato raccontato. Questo dà modo all’interlocutore di verificare la nostra comprensione. Questo si può favorire attraverso il confronto e l’uso dell’umorismo. Per quanto riguarda l’umorismo occorre fare molta attenzione: lo humour può avere l’effetto opposto se non usato con moderazione.
Se c’è un buon ascolto empatico non vi è giudizio e si può ridere insieme anche delle peggiori disgrazie. In sintesi parlare sorridendo e ascoltare con serietà, è forse la sintesi di ogni buon incontro.

Saper Trovare il senso del ridicolo nelle cose di tutti i giorni
E’ il dono di poter osservare la realtà che ci circonda ogni giorno con occhi diversi.
Spesso, quasi sempre a dire il vero, è la realtà che viviamo quotidianamente che ci fornisce moltissimi spunti per ridere.
Se poi il lavoro quotidiano ci porta a stare in un ambiente com’è la scuola allora dovrebbe essere ancora più semplice.
I grandi comici e tra questi Totò ne era sicuramente un maestro, riuscivano a scovare il ridicolo nelle persone e nelle situazioni comuni riuscendo poi a trasformare queste scoperte in schetch esilaranti o scene di film memorabili ( come ad esempio la “Lettera” del film “Totò, Peppino e La Malafemmina” ).
Altro grande e sublime maestro è stato Charlie Chaplin nel film “Il Grande Dittatore” dove ha saputo ridicolizzare, anche chi al mondo di allora sembrava impossibile ridicolizzare. Ha giocato con la sua spontaneità e originalità riuscendo a rendere ridicola, sbeffeggiandola letteralmente, la figura di Adolf Hitler, quando era l’incubo di mezza Europa.
Forse per capire il senso delle cose occorrerebbe riuscire a percepirne il senso del ridicolo di cui spesso sono fatte le situazioni.

Coltivare la propria autoironia
Tra gli aspetti più importanti vi è sicuramente saper coltivare la propria autoironia poiché è un dato di realtà che la maggior parte delle persone ha la capacità di ridere degli altri ma davvero pochi sanno ridere di se stessi
Vivere la vita con più leggerezza e soprattutto imparare a ridere di se stessi attraverso una buona dose di autoironia ha degli enormi vantaggi.
Una persona che sa ridere di se stessa dimostra di essere anche una persona matura ed intelligente perché libera dal peso dei giudizi altrui, perché ha imparato a non mettere al centro di tutto il proprio ego e perché sa come capovolgere una situazione drammatica cogliendone il lato umoristico;
Grazie all’autoironia in un certo senso si è in grado di “anticipare” ed “esorcizzare” una situazione che altrimenti può rivelarsi spiacevole ed imbarazzante, con una sana risata, infatti, si può prevenire o neutralizzare all’istante una critica, una provocazione o una brutta figura.
L’autoironia inoltre è sinonimo di accettazione, fare leva sui propri difetti o paure e riderci su può aiutare molto a renderle meno drammatiche di come possono sembrare e in un certo senso, ci aiuta anche ad accettarle relazionandoci meglio con gli altri, imparando a ridere e a giocare su se stessi, si potrà giocare in totale serenità ed armonia anche con gli altri.
Soprattutto lavorando con i bambini si può insegnare loro, attraverso il nostro esempio, che l’autoironia è un valore coltivabile ed incrementabile per stare bene con se stessi senza la paura di sbagliare e sentirsi inadeguati; è un ottimo strumento per aiutarli a favorire la loro autostima acquisendo maggiore fiducia nelle proprie capacita e potenzialità.
Purtroppo troppo spesso i bambini imparano dagli adulti ad essere troppo severi e rigidi con se stessi, non concedendosi mai la possibilità di sbagliare, anzi se capita di fare un errore si colpevolizzano perché si è fallito nel tentativo (illusorio) di essere perfetti. Quindi un atteggiamento troppo serio nei propri confronti non porta alcun vantaggio né a se stessi né agli altri, scegliere invece di reagire in maniera positiva cambia notevolmente la percezione e la direzione di un determinato evento.
Ridere di se stessi non deve essere un atto forzato, non basta mostrare i denti per dire che si sta ridendo e casomai dentro di noi si sta scatenando un putiferio. E’ cambiare il proprio approccio, giocare con il proprio senso del ridicolo diventando promotori di benessere ed autostima negli altri che nel nostro caso sono i bambini nonché gli uomini e le donne di domani.

Quanto analizzato sopra e le ricerche in questo campo da me effettuate, rivelano delle questioni importanti che è bene sottolineare.
In primis quella che di Approccio Comico Umoristico in Pedagogia ancora non ne abbia parlato nessuno pertanto è sicuramente molto opportuno fare ricerca aprendosi anche a metodologie e procedure molto varie fra loro; poiché non vi sono professionisti che hanno tracciato una via per approfondirne l’approccio... quindi è tutto in divenire e da esplorare!!!
Sicuramente quanto riportato ha permesso di analizzare il valore nella relazione educativa dell’umorismo e della risata permettendo di osservare nello specifico le funzioni in cui entrambi i fenomeni si presentano nel lavoro pedagogico. E’ indiscutibile come i “luoghi” educativi, scuola in testa, siano “ spazi emotivi” in cui si ride troppo poco.
Questo approccio, vuole essere anche un po’ provocatorio, spostando il punto di vista del pedagogista: l’oggetto del “trattamento” pedagogico non deve essere più solo il bambino ma soprattutto l’adulto che con il bambino deve lavorare. Questo per favorire il lavoro di reciprocità che coinvolge entrambe le parti che si contaminano nella relazione educativa
Personalmente, credo che l’utilizzo dell’umorismo a scuola e nei contesti educativi debba essere considerato una ricchezza tenendo conto della circostanza , in base al momento ed alle persone che si incontrano.
Per questo motivo vi sono alcune raccomandazioni che devono essere fatte: come regola fondamentale l'umorismo dovrebbe veicolare funzioni positive. In questo modo si contribuisce alla creazione di una buona relazione che può stimolare e facilitare la comunicazione e promuovere un favorevole rapporto di lavoro sostenendo l’apprendimento. Gli insegnanti,pedagogisti ed educatori che decidono di usare l'umorismo devono fare attenzione, per evitare possibili equivoci, a comprendere i bambini, considerandone età e modalità relazionali. Per tali motivi è importante utilizzare pedagogicamente l’umorismo, ed è altrettanto importante considerarlo come un’abilità che deve essere appresa e per cui si debba essere formati, nello stesso modo in cui avviene per altri approcci pedagogici.
Infine, uno studio approfondito non solo dell’umorismo, ma anche del ridere, può aiutare a comprendere meglio attività verbali e comportamenti che i bambini esprimono attraverso l’utilizzo questo particolare fenomeno … infine questo approccio divertirà voi e chi vi sta attorno!!!!

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