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Istituto di Formazione in pedagogia clinica riconosciuto UNIPED (Unione Italiana Pedagogisti). Censita CNEL. Aderente CoLAP

 

“TESTE CHE FUNZIONANO”


L'importanza dell'apprendimento per competenze per lo sviluppo dello spirito imprenditoriale
Dott.ssa Elisa Travaglini - pedagogista clinico - Milano

Teste piene o teste ben fatte?
È l’interrogativo di E.Morin ad aver mosso le riflessioni nell’indagine del connubio sapere-saper fare.
La società di oggi appare molto più complessa rispetto al passato: ha assunto un carattere di globalità che porta ogni soggetto ad essere cittadino del mondo, ma, allo stesso tempo, lo sradica dal patrimonio culturale di origine, rischiando di creare un sistema identitario e valoriale più labile. Per permettere agli individui di vivere, bisogna insegnare loro a porsi in essa, affinché agiscano attivamente: da qui la necessità del “saper agire”. Ecco allora che il connubio enunciato in precedenza dà luogo al “saper agire”. Infatti, per far sì che ogni soggetto diventi cittadino attivo, è opportuno insegnare le strategie migliori per muoversi nella realtà. Alla domanda di E.Morin, si giunge così a rispondere che è importante avere una testa che funzioni!
È quindi necessario che i giovani siano orientati all’ un apprendimento più operativo dell’hands on, insegnando loro a mettere le “mani in pasta” verso ciò che conoscono a livello teorico.
Costruendo e operando su progetti che abbiano come finalità quella di imparare sperimentando e mettendosi in gioco, il pedagogista permette ai soggetti di formarsi non solo dal punto di vista didattico-professionale, ma anche umano, poiché entrano in gioco attività di riflessione e collaborazione, volte al miglioramento delle logiche del pensiero e alla promozione di comportamenti e atteggiamenti civili e sociali. È mediante queste competenze che si possono creare giovani in grado di agire, formandosi in maniera competitiva e innovativa, legati alle strategie del fare e non solo a mere conoscenze astratte
Nel mondo scolastico il pedagogista può operare insegnando ai soggetti a riflettere sulle azioni compiute e le esperienze vissute, in modo che queste vengano assimilate e applicate ad altre occasioni simili nella realtà quotidiana.
In questo modo la scuola può ridurre sempre più i caratteri eterotopici che oggi le sono attribuiti, ossia quegli aspetti che le conferiscono una dimensione strettamente teorica, scostandola dalla realtà. Essendo luogo privilegiato della formazione giovanile, deve rendersi soggetto promotore di una cittadinanza più attiva e consapevole.
Il pedagogista clinico viene ad assumere un ruolo fondamentale proprio in questo ambito. Egli, infatti, possiede quei caratteri e quelle competenze professionali grazie alle quali è in grado di entrare in relazione e creare empatia con i soggetti coinvolti. Ciò permette non solo di avere partecipanti con maggiori diposizioni a mettersi in gioco e apprendere, ma di conoscere potenzialità e necessità di ciascuno di essi, in modo da progettare e riprogettare attività che, sotto quest’ottica, siano clinicamente efficaci, poiché strettamente costruite e organizzate per gli individui con i quali si opera.

L’IMPORTANZA DELL’APPRENDIMENTO PER COMPETENZE: ESSERE PRIMA “ABITANTE” E POI “CITTADINO”
L’attenzione allo sviluppo delle competenze è fondamentale per attivare un processo educativo che ha come scopo quello di creare “teste pensanti”.
Le competenze sono definite come habitus, ossia «un piccolo insieme di schemi che permettono di generare un’infinità di pratiche adattate a situazioni sempre rinnovate, senza mai costruirsi in principi espliciti».
Ogni schema, dovendo adattarsi a situazioni sempre nuove, deve divenire sempre più complesso e interiorizzato, e completarsi come forme di autoregolazione, che permettono di valutare e adattare l’efficienza della competenza attuata.
È interessante notare che il termine habitus sia etimologicamente legato in modo stretto al concetto di “abitudine” (entrambi derivanti dal verbo latino habeo, “avere”); a sua volta, la medesima etimologia si ritrova nel termine “abitante”, ossia “colui che ha” con continuità, non in senso di possesso, ma poiché dispone, conosce ed è pratico del luogo in cui vive e lo ha “fatto proprio”.
In questo senso “abitare” è causa ed effetto allo stesso tempo, in quanto significa assumere e/o produrre delle abitudini. Queste ultime, però, non sono da intendersi come passive ripetizioni di un esercizio, ma come comportamenti, atteggiamenti e pratiche culturali che permettono agli individui di operare in modo funzionale alla loro sopravvivenza e di adattarsi costruttivamente all’ambiente: questo determina uno stretto rapporto tra i luoghi e i soggetti, poiché tale intersezione dà vita e forma l’identità stessa di questi, rendendoli detentori veri del patrimonio culturale. L’abitante dunque è da intendersi come colui che sviluppa una tensione progettuale di sé rispetto all'ambiente e si fa carico delle responsabilità culturali, valoriali e funzionali sul territorio in cui vive, perché consapevole del significato che quest’ultimo ha rispetto alla crescita umana sia personale sia collettiva.
Il passo successivo riguarda il confronto che il soggetto opera con altri modelli di cultura e di cittadinanza: Il soggetto diventa cittadino attivo nel momento in cui è pienamente consapevole del proprio bagaglio culturale (competenze, abilità, valori etc.) ed è pronto a esporlo ad un numero piu’ ampio di cittadini culturalmente diversi (territorialmente o cronologicamente); si avrà così un’incontro aperto tra soggetti, non solo di luoghi ma anche di età differenti.
Per chiarire le caratteristiche del concetto di “abitante” può essere utilizzato un modello di apprendimento denominato modello “strada-bottega”.
Tale modalità di apprendimento è significativa perché:
- In primis, permette, l’incontro generazionale e la trasmissione della tradizione: esplicativa è l’immagine del maestro di bottega che insegna il proprio mestiere al giovane garzone;
- Può risultare anche momento di innovazione: il giovane garzone apprende, ma può sperimentare soluzioni innovative per la creazione del prodotto;
- Pone il soggetto nella logica del “saper fare”: esso possiede operativamente l’oggetto ed è quindi in grado attivare la riflessione su ogni azione compiuta, fino a sentire riconoscere come proprio l’oggetto prodotto. Tale soddisfazione permette al soggetto di accostarsi alla logica dell’ “essere nella società, per la società”.

IL RUOLO DELLA SCUOLA NELLA FORMAZIONE DEL SOGGETTO ARTIGIANO- IMPRENDITORE
La scuola deve essere aperta a progetti e metodologie di youthwork come quella della strada-bottega, affinché i giovani possano imparare a sperimentare con consapevolezza, assimilando la logica dell’errore, il confronto con gli altri, la riflessione.
In questo modo l’ambiente scolastico permette di far sorgere nel soggetto lo spirito di iniziativa e imprenditorialità.
Bisogna, prima di tutto, dotare i soggetti di una forma mentis in grado di sviluppare in loro capacità critica, abituarli a osservare, ascoltare e porsi domande, per generare in loro una spinta verso la strategia risolutiva.
Il termine “spinta” utilizzato sopra a livello teorico può accostarsi all’azione compiuta dallo “Spirito” di Hegel per raggiungere l’Assoluto. Come lo Spirito hegeliano esce da sé e si oppone a se stesso, per tornare in sé arricchito e diventare Assoluto, così deve fare il nostro soggetto per sviluppare lo spirito imprenditoriale: interrogarsi sulla sua persona (per conoscere capacità e limiti) e analizzare criticamente il suo obiettivo. In tal modo, lo Spirito nel suo percorso arriva a riconoscersi come Assoluto e il soggetto, nel proprio, si riconosce imprenditore, perché letteralmente “in grado di compiere un impresa”. Quest’ultima è fatta di scelte ragionate e permette alla persona di compiacersi delle conseguenze positive e di farsi carico di quelle negative; dall’analisi e dalla presa in carico di queste, il soggetto-imprenditore sarà in grado di affrontare imprese maggiori.
La scuola dunque deve diventare spazio transazionale e disciplinare, sensibilizzando per lo più i giovani al metodo dell’artigiano, esperto di “arte” e di “mano”, ricco di competenze perché detentore di conoscenze, abilità e creatività, capace di migliorare e rendere continuamente unica la sua opera, perché il “mettere mano” al suo lavoro gli permette di riflettere sui pregi e sui limiti di ciò che crea, cercando di trovare soluzioni per migliorarlo sempre più.
La volontà dell’artigiano di valorizzare la sua opera sta nel fatto che valorizzando questa, egli valorizza se stesso, in quanto si sente appagato da ciò che produce.
Il soggetto che apprende non acquisisce conoscenze limitate e definite, bensì competenze intrise dell’abilità di agire, che gli permettono poi di impegnarsi nel contesto di riferimento, nei ruoli sociali, nelle pratiche comunicative, nei comportamenti e nelle regole non scritte; l’apprendimento viene così inteso come una partecipazione alle pratiche significative della comunità.
Tutti questi aspetti mettono in luce un fatto: lo “spirito imprenditoriale” non s’improvvisa, ma è un percorso e un processo ragionato, per il quale risultano fondamentali la creatività, il senso di praticità e la consapevolezza del proprio agire e per i quali il soggetto può essere educato.


PROGETTO PEDAGOGICO: IL LABORATORIO DI CUCINA

Il progetto educativo qui presentato era nato per promuovere l’autonomia e l’autosufficienza di un’allieva disabile. Vista però la necessità di creare un contesto-classe collaborativo e rispettoso che fosse poi favorevole all’apprendimento, si era deciso di estendere il progetto all’intera classe, promuovendo così non solo l’aspetto dell’integrazione (come volevasi inizialmente) ma quello dell’inclusione della disabilità.
La domanda di partenza per la gestione d’avvio del progetto è stata: <<Di che cosa hanno bisogno questi ragazzi? Di che cosa necessitano?>>. Ciascuno di loro, infatti, è abile e acuto dal punto di vista intellettivo, ma fatica a mettere in pratica o a far risaltare le proprie qualità, o perché manca di autocontrollo o perché non osa esporsi al gruppo classe o perché non riflette sulle possibili alternative al di fuori dei soliti atteggiamenti e disposizioni.
La causa più rilevante che ho riscontrato è una inadeguata concezione della struttura delle regole sociali, per alcuni sfociante nella politica del laisser faire per altri nell’insistenza di una discussione continua, a scapito del confronto e di una costruttiva relazione asimmetrica.
Così ho deciso di adottare una modalità organizzativa molto struttura, in modo che il primo obiettivo per ognuno fosse preoccuparsi e occuparsi del materiale del piatto assegnatogli; mentre il pedagogista si è occupato dei piatti da scegliere (anche per questioni di obblighi di sicurezza legate all’ambiente della cucina), della lista della spesa e del preventivo di questa e dell’elenco del materiale che ciascun ragazzo ha dovuto portare.
Questi aspetti, durante il corso del progetto, sono stati lasciati gradualmente alla responsabilità dei ragazzi, con una continua e sostenuta supervisione del pedagogista, che ha avuto il compito di dirigere, indirizzare e consigliare i ragazzi sulle strategie da adottare.
Il progetto si articola in cinque momenti, sempre pre-organizzate e strutturate dal pedagogista, ma con la finalità di accogliere l’attivismo dei ragazzi.

Parte 1: Organizzazione dei gruppi e scelta dei piatti.
È la fase iniziale durante la quale il pedagogista presenta il tema scelto e organizza i gruppi insieme ai ragazzi. La scelta può essere libera da parte degli studenti o obbligatoria, ma ad ogni modo il pedagogista deve essere pronto a far ragionare sulla funzionalità dei gruppi e insistere sulla responsabilità che ognuno di loro ha per il successo del prodotto.
I gruppi sono i seguenti:
- Gruppo spesa: si occupa di andare a fare la spesa (accompagnati o meno dal pedagogista); della raccolta fondi per finanziare la cena e, nelle seguenti fasi del progetto, si preoccuperà di ricevere gli ingredienti di ciascun gruppo per organizzare la lista e il preventivo della spesa.
Il gruppo non è esclusivo; in questo modo non restano partecipanti senza incarichi durante la cena.
- Dinner planners: è il gruppo che si occupa di creare un ambiente accogliente e in linea con il tema della serata; sceglie la disposizione più funzionale per il dialogo e la disposizione dei posti a tavola. Uno o due componenti di questo gruppo si occupano anche della gestione della musica.
- Primi, secondi piatti e dessert: si preoccupano della gestione del materiale da portare e durante si occupano dei piatti da preparare. Nelle fasi più avanzate del progetto, ciascuno di questi tre gruppi dovrà proporre i piatti per la cena, ragionando sulla possibilità di cucinarli in basi ai limiti dell’ambiente scolastico e delle norme di sicurezza della cucina, delle tempistiche e del grado di difficoltà di preparazione; inoltre dovranno stilare la lista del materiale e la lista degli ingredienti, ragionando sulle dosi e sul numero di porzioni.
Parte 2: La spesa
In questa parte i ragazzi, preferibilmente accompagnati dal pedagogista, si occuperanno degli acquisti degli ingredienti e del materiale necessario per l’allestimento dell’ambiente. Essi devono valutare costi degli acquisti e quantità, evitando gli sprechi. Inoltre devono essere rapidi e organizzati negli spostamenti al supermercato.
Parte 3: Preparazione
È la parte più complessa da gestire: il pedagogista deve farsi regista e guida. Egli infatti deve controllare che ci siano tutti gli ingredienti e i materiali; deve creare una buona disposizione dell’ambiente di lavoro, in modo che la gestione, il controllo e gli spostamenti siano agevolati; deve calcolare le tempistiche in maniera precisa; e deve continuamente controllare che i ragazzi siano attivi durante la produzione e nessuno resti senza incarico.
In questo momento i ragazzi mettono in pratica le loro capacità collaborative e sociale e le loro abilità operative. Il pedagogista mette in atto la supervisione tra i gruppi e mostra ai ragazzi come eseguire il lavoro, esorta alla cooperazione e al mutuo aiuto.
Parte 4: La cena
Le portate vengono servite da chi le ha preparate.
Durante la cena ci sono sia momenti di dialogo libero sia costruito, cioè articolato sul tema della cena, per il quale alcuni ragazzi hanno preparato attività da presentare ai compagni e sulle quali possono discutere, confrontarsi, ragionare ed apprendere. La cena o il dopo cena vengono anche scanditi da giochi precedentemente preparati da un piccolo gruppo scelto dal pedagogista; questo gruppo ha come obiettivo quello di creare un clima familiare, aperto e costruttivo, così da coinvolgere tutti i partecipanti. A questo gruppo di chiede molta responsabilità e attenzione nella scelta dei giochi, capacità di mettersi nei panni dell’altro e abilità strategica per la ricerca di materiali etc... Per ogni cena il “gruppo giochi” cambia, in modo che ognuno possa sperimentare gli aspetti appena elencati e attraverso i feedback dati dai pari, possa rendersi conto del proprio operato e del proprio impegno e successivamente sarà spunto di riflessione.
Parte 5: Attività didattiche
Per alcune cene si è pensato di sviluppare delle attività didattiche, per le quali i ragazzi potranno ricevere una valutazione.
Dato il tema e stabilita con l’insegnante in questione l’attività da svolgere, i ragazzi si occupano della realizzazione e dello studio di questa. A seguire viene sostenuta l’interrogazione e il materiale prodotto viene poi presentato ai compagni durante la cena. I temi trattati possono essere i più vari, a carattere storico, sociale, artistico, culturale, sportivo etc…

Regole
1- Raccogliere i capelli con mollettine o in una coda
2- Togliere orologio, anelli e bracciali
3- Mettere il grembiule
4- Lavare le mani
5- Prima di iniziare, pulire il piano di lavoro
6- Fare attenzione agli strumenti con le lame (es. coltello)
7- Se si rovescia qualcosa, bisogna subito raccogliere e pulire
8- Quando si finisce di cucinare, bisogna pulire gli strumenti utilizzati e la cucina

Riflessione con il pedagogista
A seguito della cena, il pedagogista invita i ragazzi a riflettere sullo svolgimento del lavoro. Per questo scopo sono state scelte due modalità. La prima consiste nella preparazione di un questionario a carattere qualitativo, che permetta al soggetto di esprimere il proprio gradimento e le proprie opinioni mediante domande strutturate. Questo viene consegnato a cinque o sei ragazzi che si sono distinti per azioni di merito o demerito; successivamente il pedagogista analizzerà le risposte date e in un terzo momento si confronterà a tu per tu con ciascuno dei ragazzi.
Dopo aver fatto ciò, il pedagogista creerà un momento in cui inviterà tutta la classe a riflettere sullo svolgimento della cena, sul rispetto delle regole, sul comportamento e sugli atteggiamenti tenuti, facendo ragionare sui motivi del successo o dell’insuccesso del lavoro. Inoltre, inizialmente, baserà la sua riflessione secondo quanto emerso dai questionari e si avvarrà del supporto dei ragazzi che hanno compilato questi stessi, in modo che l’input del dialogo e del confronto nasca proprio dai pari.

 

BIOGRAFIA E SITOGRAFIA
AAVV, Educare all’imprenditorialità. Una guida per gli insegnati, Bruxelles, Unione Europea, 2014
AAVV, Camp for company. Un nuovo paradigma per nuovi apprendimenti, Bolzano-Bozen, Tezzele, 2014
Deiana, G., Insegnare l'etica pubblica. La cultura e l'educazione alla cittadinanza: una sfida per la scuola. Trento, Erickson, 2003

Morin E., La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Milano, Cortina Editore, 2000

http://try.iprase.tn.it/attivit%C3%A0/studio_e_ricerca/OGI/download/eurogiovani_04.pdf
http://archivio.pubblica.istruzione.it/normativa/2007/allegati/all2_dm139new.pdf
http://www.ruffini.org/documenti/Gestire_le_competenze.pdf
http://www.scienzaviva.it/articoli/hands_on_scuola_estiva_2009.pdf

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